martedì 31 marzo 2015

IL QUADRO DI LEGALITA' DELL'ONU PER LA SICUREZZA NEL MEDITERRANEO

Riportiamo il testo del Dossier 202 del Senato della Repubblica relativo al quadro di legalità internazionale  definito dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU per contrastare le minacce alla pace e alla sicurezza del Mediterraneo allargato
                                PREMESSA
Il presente dossier tenta di ricostruire il quadro di legalità internazionale definito dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU per contrastare le minacce alla pace e alla sicurezza internazionali provenienti dal Mediterraneo allargato, prendendo in considerazione il periodo dal 2011 ad oggi. In particolare, vengono considerate le risoluzioni del Consiglio di sicurezza relative alla crisi libica, a quella maliana, siriana e al terrorismo di matrice jihadista.
La Carta delle Nazioni Unite da un lato afferma il divieto dell'uso della forza nei rapporti internazionali (art. 2, par. 4), dall'altro attribuisce al Consiglio di Sicurezza la competenza ad autorizzare le azioni necessarie al mantenimento dell'ordine e della pace tra gli Stati ed in particolare l'uso della forza a fini di polizia internazionale. Tale sistema di sicurezza incontra il limite del potere di veto assegnato ai cinque membri permanenti del medesimo Consiglio di sicurezza (USA, Russia, Cina, Regno Unito e Francia).
Ai sensi del Capitolo VII della Carta, il Consiglio di Sicurezza, accertata l'esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace o di un atto di aggressione, può sia decretare contro uno Stato misure sanzionatorie non implicanti l'uso della forza (interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle comunicazioni -ferroviarie, marittime, aeree, postali, telegrafiche, radio ed altre- e la rottura delle relazioni diplomatiche) (art. 41), sia misure implicanti l'uso della forza (costituzione di forze armate per operazioni di polizia internazionale) (artt. 42 e ss.).
In alcuni casi, tuttavia, pur operando nell'ambito del Capitolo VII, le risoluzioni del Consiglio, anziché agire ex art. 42 della Carta dando vita ad "azioni di polizia internazionale" tramite l'impiego dei Caschi blu (come nel caso della missione multidimensionale MINUSMA in Mali), si limitano ad autorizzare l'uso della forza da parte degli Stati membri, rimettendo nelle loro mani il comando e il controllo delle operazioni. E' quel che è accaduto nel caso della Risoluzione sulla Libia n. 1973 (2011) che autorizzava “tutte le misure necessarie” per “proteggere i civili e le aree popolate sotto minaccia di attacco” e lo stabilimento di una “no-fly zone” sui cieli libici, cui seguì la formazione di una coalition of willings e poi un'operazione sotto il comando della NATO.
In quest'ultimo scenario di crisi, dopo l'intervento militare, l'ONU ha dispiegato una "missione politica integrata speciale" denominata UNSMIL. Più recentemente il 19-20 febbraio 2015, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, convocato per esaminare la questione libica, non ha acconsentito ad approvare una proposta di risoluzione presentata dall'Egitto che, agendo sotto il capitolo VII della Carta, facesse appello agli Stati membri a combattere "con ogni mezzo" le minacce causate da attacchi terroristici, in coordinamento con il legittimo governo della Libia promanante della Camera dei Rappresentanti (governo di Tobruq), nonché sostanzialmente rimuovesse l'embargo sulle armi per il medesimo governo di Tobruq. Un'altra ipotesi in discussione al Consiglio di Sicurezza dell'ONU sembra essere quella di decretare il blocco marittimo. Frattanto il Consiglio di sicurezza dell'ONU il 5 marzo 2015 ha prorogato il mandato di UNSMIL solo fino al 31 marzo 2015.
Vi è poi una gradualità nella risposta del Consiglio di Sicurezza dell'ONU rispetto a nuove minacce come quella del terrorismo jihadista: da risoluzioni - comunque vincolanti - che riconoscono la minaccia, si è passati a risoluzioni, per il contrasto a DAESH, adottate in base al Capitolo VII della Carta.




Quadro di legalità internazionale del Consiglio di Sicurezza dell'ONU per contrastare le minacce alla sicurezza internazionale provenienti dall'area di crisi del Mediterraneo allargato (2011-2015)

La crisi libica
Ad una settimana dallo scoppio della Rivoluzione libica del 17 febbraio 2011, il governo francese si attivava per chiedere una riunione urgente al Consiglio di Sicurezza dell'ONU per prendere adeguate misure nei confronti della repressione delle insurrezioni contro il regime di Muammar Gheddafi, al potere dal 1° settembre 1969. Grazie all'efficace azione diplomatica del Presidente francese Nicolas Sarkozy, del premier inglese David Cameron e, successivamente, del presidente statunitense Barack Obama, dispiegata a partire dal 24 febbraio 2011(1, si otteneva dapprima l'11 marzo 2011 l'autorizzazione del Consiglio europeo ad imporre una no-fly zone sui cieli libici, e subito dopo l'approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza dell'ONU della risoluzione 1973 (2011).
Il 17 marzo 2011, la Risoluzione n. 1973 (2011) - approvata con le astensioni di Russia, Cina, Brasile, India, Germania- , agendo nell'ambito del Capitolo VII(2della Carta delle Nazioni Unite autorizzava “tutte le misure necessarie” per “proteggere i civili e le aree popolate sotto minaccia di attacco” e lo stabilimento di una “no-fly zone” sui cieli libici.
Su tale base, si formava una coalizione internazionale (coalition of willings), capeggiata da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti e che ha visto la partecipazione di Italia, Belgio, Canada, Danimarca, Norvegia, Olanda, Spagna e di due Paesi arabi, quali Qatar e Emirati Arabi Uniti (EAU), che dava il via all'Operazione Odyssey Dawn.
La Comunità Internazionale si trovava presto ad affrontare il problema del comando delle operazioni e del suo passaggio dalla coalizione dei volenterosi alla NATO, con la Francia che spingeva per la costituzione al di fuori dell’Alleanza di un “direttorio” che ne stabilisse l’orientamento politico.
La soluzione veniva trovata il 22 marzo 2011 facendo rientrare tutto il controllo e la gestione della missione in ambito NATO, con quartier generale a Napoli. L’operazione NATO, che prendeva il nome diUnified Protector, aveva tre principali ambiti d’azione: il controllo dell’embargo militare, la no-fly zone e le azioni per proteggere i civili da attacchi o da minacce di attacchi.
Parallelamente alla dura repressione del regime verso gli insorti e con il destarsi dell’opinione pubblica mondiale sulla questione, la posizione dell'Italia, altamente esposta per gli interessi politici, economici ed energetici, è passata dalla iniziale dichiarazione di non interferenza negli affari interni alla partecipazione alle operazioni delle missioni internazionali(3.
Il 16 settembre 2011(4, con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 2009 (2011) adottata all'unanimità, agendo nell'ambito del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite e prendendo misure ex art. 41(misure a tutela della pace, non implicanti l'uso della forza), è stata istituita una missione politica integrata speciale dell'ONU in Libia denominata UNSMIL (United Nations Support Mission in Libya), avente per oggetto il compito di assistere e sostenere gli sforzi nazionali libici nella fase successiva al conflitto, e cooperare per il ripristino della sicurezza e l’ordine pubblico attraverso l’affermazione dello stato di diritto, il dialogo politico e la riconciliazione nazionale. Per quanto riguarda il regime dell'embargo sulle armi, la Risoluzione n. 2009 consente il trasferimento di armi alle autorità libiche se preventivamente notificato al Comitato per le sanzioni e trascorsi cinque giorni di silenzio-assenso.
I combattimenti tra le forze fedeli a Gheddafi e il Consiglio nazionale transitorio libico sono proseguiti fino alla conquista di Bani Walid (il 17 ottobre 2011) e di Sirte (il 20 ottobre 2011) e all’uccisione di Gheddafi (20 ottobre 2011). Il 23 ottobre 2011 il presidente del Consiglio nazionale transitorio libico, Mustafa Abdel Jalil, ha proclamato la liberazione della Libia, avviando formalmente il processo di transizione.
Il 26 ottobre 2011, la successiva Risoluzione n. 2016 (2011), adottata all'unanimità, ha fissato al 31 ottobre 2011 il termine di conclusione degli interventi per la protezione dei civili e delle aree a popolazione civile sotto la minaccia di un attacco e delle operazioni per il rispetto del divieto di sorvolo nello spazio aereo della Libia, di cui alla risoluzione 1973 (2011). La NATO ha sospeso le operazioni il 31 ottobre 2011.
Il 2 dicembre 2011, la Risoluzione n. 2022 (2011), adottata all'unanimità, ha esteso il mandato della missione UNSMIL, prevedendo, altresì, l’assistenza e il sostegno agli sforzi nazionali libici per affrontare la minaccia di proliferazione delle armi e dei materiali collegati di qualsiasi tipo, in particolare dei missili terra-aria trasportabili a spalla(5.
La Risoluzione n. 2040 (2012), adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 12 marzo 2012 all'unanimità, ha modificato il mandato della missione UNSMIL assegnandole il compito, nel pieno rispetto del principio di responsabilizzazione a livello nazionale, di assistere e sostenere le autorità libiche, offrendo consulenza strategica e tecnica per gestire il processo di transizione democratica, promuovere lo Stato di diritto, ripristinare la sicurezza pubblica, affrontare la minaccia di proliferazione delle armi e dei materiali collegati di qualsiasi tipo, in particolare dei missili terra-aria trasportabili a spalla.
La Risoluzione n. 2095 (2013), adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 14 marzo 2013 all'unanimità, proroga il mandato di ulteriori 12 mesi, modificando il regime dell'embargo sulle armi, togliendo il requisito della notificazione per gli equipaggiamenti militari non letali per la protezione e l'addestramento umanitari .
La Risoluzione n. 2144 (2014) adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 14 marzo 2014 all'unanimità, proroga il mandato fino al 13 marzo 2015(6.
Il 27 agosto 2014, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU approva all'unanimità la Risoluzione n. 2174 (2014), agendo sotto ilCapitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, chiede alle parti l'immediata cessazione degli scontri e l'inizio di un dialogo politico inclusivo e guidato dai Libici, nonché mira a rendere più efficace l’embargo sulle armi - ribaltando il modus operandi, richiedendo la preventiva approvazione, da parte del Comitato per le sanzioni, delle armi e relativi materiali(7- e a rafforzare il regime sanzionatorio contro nuove violenze o violazioni di diritti umani.
In vista della prossima proroga di UNSMIL -in scadenza il 13 marzo 2015-, l'Italia è impegnata a chiedere un mandato che consenta di accelerare il dialogo politico(8.
Il 19-20 febbraio 2015 il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, convocato per esaminare la questione libica, non ha acconsentito ad una bozza di risoluzione proposta dall'Egitto che, agendo sotto il capitolo VII della Carta, facesse appello agli Stati membri a combattere "con ogni mezzo" le minacce causate da attacchi terroristici, in coordinamento con il "legittimo governo della Libia promanante della Camera dei Rappresentanti" (governo di Tobruq), nonché sostanzialmente rimuovesse l'embargo sulle armi per il medesimo governo di Tobruq. Un'altra ipotesi tuttora in discussione al Consiglio di Sicurezza dell'ONU sembra essere quella di decretare il blocco marittimo.
Frattanto, il 5 marzo 2015 il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha approvato all'unanimità la Risoluzione n. 2208 (2015) che dispone una breve proroga del mandato di UNSMIL fino al 31 marzo 2015, nonché proroga fino alla stessa data le previsioni della risoluzione 2146 (2014) per prevenire l'esportazione illecita di petrolio per mare.
La crisi in Mali
Allargando lo sguardo al Sahel, a proposito della crisi in Mali e del conseguente intervento della Comunità internazionale, si ricorda che il 22 marzo 2012, un colpo di stato militare ha deposto il presidente maliano Amadou Toumani Touré. Nel periodo di instabilità che il paese ha successivamente attraversato, l'avanzata dei ribelli Tuareg nel nord ha portato alla dichiarazione d'indipendenza della regione dell’Azawad(9.
La comunità Tuareg rivendica sin dalla creazione dello Stato maliano una maggiore indipendenza dal governo centrale e ha fondato nell’ottobre 2011 l’MNLA (Mouvement national de libération de l’Azawad), con l’obiettivo di rappresentare le aspirazioni delle popolazioni - non solo Tuareg - originarie del nord del paese. Il 17 gennaio 2012 i ribelli hanno lanciato un’intensa campagna militare e il 12 marzo le truppe degli insorti sono riuscite a conquistare la base militare di Amachach, nei pressi di Tessalit, città al confine con l’Algeria, considerata strategica per portare l’offensiva ancora più a sud. Il governo di Touré, ritenuto incapace di garantire la sicurezza del Paese di fronte alla rivolta dei Tuareg è stato travolto da ungolpe, guidato da un ufficiale delle Forze armate, il colonnello Amadou Haya Sanogo.
A seguito delle pressioni internazionali e grazie alla mediazione della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS), il 6 aprile 2012 si è giunti a un accordo per restituire il potere ad un'amministrazione civile e per formare un governo di transizione guidato dal presidente del Parlamento Dioncounda Traoré. All’inizio di settembre 2012 Traoré aveva chiesto ufficialmente l’intervento militare dei paesi della ECOWAS per liberare i territori occupati del nord.
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con la Risoluzione n. 2085 (2012) del 20 dicembre 2012 adottata all'unanimità, ha autorizzato l'ECOWAS(10a dispiegare la African-Led International Support Mission (AFISMA) la quale avrebbe dovuto dare inizio al suo mandato nel settembre 2013, momento nel quale si riteneva sarebbe stata raggiunta una sufficiente preparazione delle truppe africane e una solidità della catena di comando.
Il repentino avanzamento delle forze ribelli all’inizio del 2013 e il conseguente intervento francese a sostegno dell'esercito maliano - denominato Operazione Serval - hanno invece fatto sì che AFISMA fosse dispiegata già da metà gennaio 2013.
Nella risoluzione 2085 (2012), il Consiglio di sicurezza -al paragrafo 23- chiede al Segretario generale dell’ONU, ai sensi del capitolo VII della Carta, di definire, di concerto con le autorità nazionali maliane, una "presenza multidisciplinare delle Nazioni Unite in Mali" finalizzata a fornire un supporto coordinato e coerente ai processi politici e di sicurezza in corso nel paese.
Il Consiglio di Sicurezza incarica l'AFISMA del compito di aiutare a rafforzare le forze di difesa e sicurezza maliane, in coordinamento con l'Unione europea e gli altri partner. Preso atto dell’approvazione, da parte della Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (ECOWAS) e dell'Unione africana, di un piano strategico per affrontare la crisi in Mali, il Consiglio di Sicurezza sottolinea la necessità di perfezionare ulteriormente la pianificazione prima dell'inizio di un'operazione militare offensiva. Il Consiglio di Sicurezza chiede all'Unione africana, in stretta collaborazione con altri partner, prima dell’inizio delle operazioni offensive, di fornire aggiornamenti sui progressi compiuti nel processo politico, sullo stato della formazione sia della missione AFISMA sia delle forze di sicurezza del Mali, sul quadro di operatività della missione e su altri elementi di criticità.
A seguito della riconquista, da parte delle forze franco-maliane, di una parte considerevole dei territori del nord, tra cui la città di Timbuctù, è iniziato il graduale rimpatrio delle truppe francesi a partire dal mese di aprile 2013; nello stesso periodo, con laRisoluzione 2100 (2013) del 25 aprile 2013, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, all'unanimità, ha autorizzato il dispiegamento di una forza di circa 12.600 Caschi blu (11.200 militari e 1440 poliziotti) per la stabilizzazione del Mali e il supporto alla transizione politica: la MINUSMA, Mission Multidimensionnelle Intégrée des Nations Unies pour la Stabilisation au Mali, dispiegata a partire dal 1° luglio, in sostituzione dell’AFISMA.
Con la risoluzione 2100 del 25 aprile 2013, il Consiglio di sicurezza autorizza la creazione di una forza di peacekeeping dell'ONU nel Mali, per il periodo iniziale di un anno, agendo in base al Capitolo VII della Carta. MINUSMA è autorizzata ad utilizzare "tutti i mezzi necessari" in supporto delle istituzioni transitorie del Mali per stabilizzare i principali centri abitativi, specialmente nel nord del paese, e prevenire il ritorno dei gruppi armati. MINUSMA si configura come una missione multidimensionnelle intégrée in quanto ha altresì il mandato di aiutare le istituzioni maliane ad estendere e ristabilire l’amministrazione dello stato in tutto il territorio e dare sostegno alle forze nazionali e internazionali impegnate nella ricostruzione del settore della sicurezza. È previsto che MINUSMA riceva la protezione delle truppe francesi nelle eventuali situazioni di “imminente e seria minaccia” su richiesta del Segretario generale dell’ONU(11.
Da ultimo, la Risoluzione n. 2164 (2014) adottata dal Consiglio di Sicurezza il 25 giugno 2014all'unanimità, proroga il mandato di MINUSMA al 30 giugno 2015; autorizzando la MINUSMA a ricorrere ad ogni mezzo necessario per perseguire il proprio mandato, individua i compiti prioritari - tra cui l'ampliamento della sua presenza nel Nord del Mali oltre i principali centri abitativi specialmente nelle aree di rischio per i civili, e il sostegno al cessate il fuoco ed a misure di confidence building sul terreno coerenti con le previsioni dell'Accordo preliminare di Ouagadougou del 18 giugno 2013- nonché due ulteriori compiti, di protezione del personale ONU e di sostegno alla preservazione della cultura.
A titolo di completezza, si ricorda che il 14 giugno 2013 il Segretario generale dell'ONU, analogamente a quanto fatto in precedenza dall'UE -con l'adozione da parte del Consiglio della "Strategia dell'UE per la sicurezza e lo sviluppo del Sahel" nel marzo 2011- ha presentato un Rapporto(12al Consiglio di Sicurezza per convogliare l’azione della comunità internazionale in un approccio globale per il Sahel, presentando la "Strategia integrata dell'ONU" predisposta dall'Inviato Speciale per il Sahel, Prof. Romano Prodi (nominato nell'ottobre 2012).
La Strategia integrata delle Nazioni Unite per il Sahel intende sostenere i governi ed i popoli della regione nel loro sforzo -che va condotto a livello regionale- di affrontare le cause dell'instabilità in una prospettiva di lungo termine, individuando in particolare 3 obiettivi strategici:
  • rafforzamento della governance inclusiva ed efficace in tutta la regione (governance);
  • rafforzamento della capacità di affrontare le minacce transfrontaliere (security);
  • integrazione di interventi di sviluppo e umanitari per rafforzare la resilienza (resilience).
La crisi siriana
Dall'agosto 2011 i paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti e dall’Unione europea, premono, insieme alla Lega Araba e alla Turchia, perché il leader siriano Assad prenda atto delle aspirazioni di riforma democratica del popolo siriano e ceda il passo alla formazione di un governo di unità nazionale.
Russia, Cina e Iran si oppongono invece ad ogni azione coercitiva, comprese le sanzioni(13, e respingono la tesi, abbracciata da Stati Uniti ed Unione europea, che le dimissioni di Assad siano ormai una precondizione per l’avvio di una transizione politica nel paese.
Nel febbraio 2012 Nazioni Unite e Lega araba designano Kofi Annan come Inviato Speciale congiunto, con il compito di promuovere una soluzione diplomatica in grado di porre fine alle violenze. Alla fine di marzo 2012 Annan presenta il suo Piano in sei punti, ottenendo il sostegno del Consiglio di sicurezza e degli stessi siriani. Il Piano Annan si prefigge, tramite l'instaurazione di un dialogo tra governo siriano e l'intero spettro dell'opposizione siriana, di porre immediatamente fine a qualsiasi violenza e violazione dei diritti umani, garantendo piena autonomia alle operazioni umanitarie, e agevolando la transizione politica a guida siriana verso un sistema politico democratico e pluralista in grado di garantire l'uguaglianza dei cittadini.
Al fine di monitorare e sostenere la piena attuazione del Piano in sei punti di Annan, nonché al fine di monitorare la cessazione della violenza armata in ogni forma e da parte di tutte le parti in causa, con la Risoluzione n. 2043 (2012) del 21 aprile 2012 del Consiglio di Sicurezza, adottata all'unanimità, viene istituita una missione di 300 osservatori militari delle Nazioni Unite United Nations Supervision Mission in Syria (UNSMIS). Tale risoluzione nonricade nell'ambito Capitolo VII della Carta ONU.
Si tratta di una missione di supervisione delle Nazioni Unite, sotto il comando di un Capo degli osservatori militari, per un periodo iniziale di 90 giorni, con un dispiegamento iniziale fino a 300 osservatori militari disarmati e di un'adeguata componente civile, avente il seguente mandato:
  • monitorare la cessazione della violenza armata in ogni forma e da parte di tutte le parti in causa;
  • monitorare e sostenere la piena attuazione del piano in 6 punti(14)dell'Inviato Speciale congiunto di Nazioni Unite e Lega araba, accettato dal governo siriano, che si prefigge, tramite l'instaurazione di un dialogo tra governo siriano e l'intero spettro dell'opposizione siriana, di porre immediatamente fine a qualsiasi violenza e violazione dei diritti umani, garantendo piena autonomia alle operazioni umanitarie, e agevolando la transizione politica a guida siriana verso un sistema politico democratico e pluralista, che rispetti l'uguaglianza dei cittadini a prescindere da affiliazioni politiche, etniche e religiose.
Tuttavia, il piano Annan, pur stabilendo un momentaneo cessate-il-fuoco e consentendo, nonostante le numerose violazioni, il dispiegamento di 300 osservatori ONU, non riesce a portare ad una stabilizzazione del paese e, dopo l’uccisione di 108 persone nella regione di Hula da parte delle forze armate siriane (25 maggio 2012), sembra perdere ogni concreta possibilità di attuazione.
Il 16 giugno 2012 la UNSMIS deve sospendere le proprie attività per l'impossibilità di procedere nel proprio impegno, sia per ragioni di sicurezza del personale, sia per la constatazione della totale indifferenza del regime ad attuare il Piano Annan, in un crescendo di repressioni e violenze.
Sotto impulso di Kofi Annan, i 5 membri del Consiglio permanente del Consiglio di Sicurezza dell'ONU convocati a Ginevra il 30 giugno 2012 (Conferenza di Ginevra I) raggiungono un accordo sull'obiettivo prioritario da perseguire in vista di una soluzione della crisi siriana ovvero una transizione politica ad un governo di intesa nazionale senza Assad. Viene pertanto convenuta una roadmap, in vista: della creazione di un governo transitorio ampiamente inclusivo, dotato di tutti i poteri; dell'avvio di un processo di dialogo nazionale inclusivo e costituente, sotto l'egida dell'ONU; dell'avvio di una revisione della Costituzione da sottoporre a referendum, dell'indizione di elezioni pluraliste.
Dato il perdurante veto di Russia e Cina ad una nuova proposta di risoluzione che ponga il piano Annan sotto il Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, il 20 luglio 2012 il Consiglio di sicurezza dell'ONU riesce ad approvare all'unanimità la Risoluzione n. 2059 (2012) che si limita a stabilire l'ultima proroga di 30 giorni del mandato della missione di osservatori in Siria. Pertanto il 19 agosto 2012 UNSMIS termina il suo mandato.
Frattanto il 2 agosto 2012 Kofi Annan si dimette dall'incarico ed il 17 viene nominato Lakhdar Brahimi come nuovo Inviato Speciale congiunto di Nazioni Unite e Lega Araba.
Con l'esplosione tra giugno e luglio 2012 delle ostilità a Damasco ed Aleppo, principali centri politici ed economici del regime, si ha un'escalation di violenza che, da una parte, registra una vasta azione coordinata da parte delle milizie dell'Esercito libero siriano e, dall'altra, una dura reazione delle forze lealiste con l'impiego di assetti aerei. Per effetto dei bombardamenti di interi quartieri, dell'impiego dell'artiglieria, degli elicotteri e dei mezzi aerei i massacri di civili assumono - nelle parole dell'allora Ministro degli affari esteri Giulio Terzi- "caratteristiche tali da farli apparire come crimini contro l'umanità". La drammatica accelerazione degli scontri provoca notevoli perdite soprattutto tra i civili e fa aumentare il numero dei profughi verso il Libano, la Turchia, la Giordania, l'Iraq.
Nel mese di agosto 2012, l'azione diplomatica a livello di Nazioni Unite riprende all'Assemblea generale dell'ONU che approva, con una maggioranza superiore ai 2/3 dei membri, la risoluzione (A/RES/66/253 B) del 3 agosto, in cui il regime di Assad viene ritenuto il principale responsabile delle violenze e delle sistematiche gravi violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali e viene chiesto alle parti di impegnarsi a consentire una transizione democratica a guida siriana che vada incontro alle aspirazioni del popolo siriano. Inoltre, il 15 agosto viene pubblicato il rapporto della Commissione d'inchiesta ONU sulla Siria e in particolare sui drammatici fatti di Hula in cui il regime viene individuato come principale responsabile dei massacri, qualificati come crimini contro l'umanità.
L'Occidente continua per tutto il 2013 a sostenere con forza la strada di una soluzione politica alla crisi - perseguita dal Segretario di Stato Kerry in una serie di incontri a Mosca con Lavrov e Putin - di svolgere nel 2013 una nuova Conferenza internazionale sotto egida ONU a Ginevra (Ginevra II), con la partecipazione di rappresentanti del regime e dell’opposizione, nella convinzione che la formazione di un Governo transitorio possa rappresentare una possibilità per arrestare i massacri e la frammentazione del Paese su base etnico-confessionale, che avrebbe conseguenze destabilizzanti per i Paesi limitrofi (rischi di spilloverdella crisi e rischio di radicalizzazione di gruppi islamisti estremisti e di infiltrazioni jihadiste). Cresce la preoccupazione per il possibile uso/movimentazione di armi chimiche in Siria, su cui indaga una commissione d'inchiesta istituita dal Segretario Generale delle Nazioni Unite. Preoccupazione desta infine il fatto che la Russia, mentre promuove l'iniziativa diplomatica in vista di Ginevra II, continua l'invio di armamenti alla Siria. Forte preoccupazione desta altresì l'emergenza umanitaria in conseguenza della crisi siriana con più di un milione e mezzo di rifugiati verso Libano e Giordania già nel maggio 2013.
Di fronte allo stallo del conflitto siriano, al bilancio delle vittime e alle prospettive di durata, l’Occidente si confronta con il dilemma dell’interventismo, che ha raggiunge il suo apice nel settembre 2013 quando il Presidente Obama si trova nella difficile posizione di decidere se dare seguito alla minaccia di un attacco per l’impiego delle armi chimiche (superamento della “red line”). La decisione di rinunciare ad un intervento militare arriva dopo la firma dell’Accordo russo-americano sullo smantellamento dell’arsenale di armi chimiche del 14 settembre 2013.
Il 27 settembre 2013 giunge l'approvazione, all'unanimità, dellaRisoluzione del Consiglio di sicurezza n. 2118 (2013) basata sull'accordo russo-americano del 14 settembre 2013. Tale risoluzione, ricordando che l'articolo 25 della Carta delle Nazioni unite vincola gli Stati membri ad accettare e a dare attuazione alle decisioni del Consiglio di sicurezza, definisce le procedure per lo smantellamento entro la prima metà del 2014 dell'arsenale chimico siriano. Fulcro della risoluzione è l'attività dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPAC/OPCW), il rispetto delle cui indicazioni sarebbe stato monitorato con cadenza mensile. In omaggio alla maggiore preoccupazione della Russia, la Risoluzionenon opera sotto il capitolo VII della Carta dell'ONU, bensì decide di ricorrere alle misure del capitolo VII in caso di mancato rispetto delle misure disposte dalla presente Risoluzione(15.
I tentativi di portare allo stesso tavolo la Coalizione Nazionale Siriana e rappresentanti del governo di Assad non danno i risultati sperati. Anche durante la Conferenza di Ginevra II (gennaio-febbraio 2014) organizzata dall'Inviato speciale Brahimi con il sostegno dei governi di Stati Uniti e Russia, le delegazioni riescono a trovare un accordo solo sull’istituzione di una tregua nella città di Homs, per permettere alle Nazioni Unite di predisporre la distribuzione di aiuti umanitari in favore della popolazione. Ciò si deve, da un lato, alle precondizioni che la Coalizione Nazionale Siriana pone per sedersi al tavolo negoziale, tra cui l’esclusione di Assad da un eventuale governo di transizione e, dall'altro, all’intransigenza di Assad - forte della sua superiorià sul terreno- nei confronti delle richieste delle opposizioni.
Frattanto anche in sede OPAC si registra una ‘impasse’. Il 21 febbraio 2014 il Consiglio esecutivo constata il notevole ritardo sui tempi di consegna delle sostanze chimiche, mentre la situazione sul terreno non fa che aggravare la disastrosa situazione umanitaria del popolo siriano.
Il 22 febbraio 2014 il Consiglio di sicurezza dell’ONU approva all’unanimità la Risoluzione n. 2139 (2014) per ottenere la fine degli assedi cui contemporaneamente erano sottoposte diverse città siriane, con terribili conseguenze sulle condizioni dei civili. La risoluzione non prevede meccanismi di enforcement (sanzioni) in caso di inadempienza – del resto forse proprio perciò la Russia aveva rinunciato a porre il veto sull’approvazione del documento. Prevede soltanto l'intenzione di ricorrere ad ulteriori misure in caso di mancato rispetto, monitorato di mese in mese dai Rapporti del Segretario Generale.
La risoluzione, al par. 14, condanna fermamente gli attacchi terroristici che producono sempre più numerose uccisioni e distruzioni di beni, commesse da organizzazioni e individui associati ad al-Qaeda, i suoi affiliati ed altri gruppi terroristi. La risoluzione riconosce che il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni costituisce una delle più gravi minacce alla pace e alla sicurezza internazionale e ribadisce che gli atti terroristici sono criminali ed ingiustificabili. Il Consiglio di sicurezza chiede ai gruppi di opposizione di continuare a respingere queste formazioni terroristiche dalle aree sotto il loro controllo, alle autorità siriane e ai gruppi di opposizione di impegnarsi a combattere e sconfiggere tali formazioni, richiama tutti i foreign fighters a ritirarsi immediatamente dalla Siria e condanna tutti coloro che sfruttano il terrorismo per allontanare la prospettiva di una soluzione politica.
Il Consiglio di sicurezza invita le parti a lavorare per l'attuazione globale del Comunicato di Ginevra del 30 giugno 2012, verso una transizione politica autentica che venga incontro alle legittime ispirazioni del popolo siriano e lo metta in condizione di determinare in maniera indipendente e democratica il proprio futuro.
La scadenza del 27 aprile 2014, concessa dall’OPAC quale proroga per la consegna definitiva delle sostanze chimiche in possesso della Siria nel quadro dell’accordo del settembre 2013, giunge senza che Damasco abbia completato l’adempimento dei propri impegni: resta da consegnare l’8 % del totale delle sostanze dichiarate dalla Siria.
Alla metà di maggio 2014 viene reso noto che il mediatore delle Nazioni Unite e della Lega araba per la Siria Lakhdar Brahimi lascerà il proprio incarico con effetto dalla fine del mese.
Nel tragico scenario siriano, si svolgono il 3 giugno 2014 le elezioni presidenziali, con la vittoria quasi plebiscitaria di Bashar al-Assad, che otteneva l’88% dei consensi: Assad presta giuramento per il suo terzo mandato presidenziale il 16 luglio 2014. Intanto il 9 luglio 2014 Staffan de Mistura, già vice ministro degli esteri italiano e con una lunga carriera quale rappresentante delle Nazioni Unite in situazioni di conflitto, viene nominato quale successore di Lakhdar Brahimi alla carica di Inviato speciale dell’ONU in Siria.
Il quadro di sicurezza siriano conosce un ulteriormente deterioramento, alla fine di giugno 2014, quando lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) proclama un Califfato a cavallo dei territori settentrionali iracheno e siriano, arrivando a minacciare direttamente il territorio autonomo del Kurdistan iracheno.
Il 14 luglio 2014 il Consiglio di sicurezza dell'ONU adotta all'unanimità la Risoluzione n. 2165 (2014) che autorizza l'ingresso in territorio siriano e il passaggio attraverso le linee di conflitto di operatori delle Nazioni Unite allo scopo di fornire aiuto umanitario in Siria anche senza il consenso del governo, e istituisce un meccanismo di monitoraggio per sei mesi, sotto la responsabilità del Segretario Generale dell'ONU e con il consenso dei paesi confinanti con la Siria, per controllare che i materiali di necessità e di aiuto alle popolazioni civili vengano effettivamente consegnati e le strutture attivate.
Ricordando che l'articolo 25 della Carta delle Nazioni unite vincola gli Stati membri ad accettare e a dare immeditata attuazione alle decisioni del Consiglio di sicurezza, ribadisce che tutte le parti in conflitto, in particolare le autorità siriane, debbono conformarsi agli obblighi imposti dal diritto internazionale umanitario e dai diritti umani e debbono attuare immediatamente e completamente le disposizioni della risoluzione 2139 (2014) e della dichiarazione presidenziale del 2 ottobre (S/PRST/2013/15).
Per quanto riguarda la rimozione di ogni impedimento agli aiuti umanitari, richiama la possibilità di ricorrere ad accordi di cessate il fuoco conformi ai principi umanitari e al diritto umanitario internazionale, sottolinea la necessità di accordarsi su pause umanitari, giorni di tranquillità, cessate il fuoco localizzati e tregue, per consentire alle agenzie umanitarie un accesso sicuro e ricorda che affamare i civili è un metodo di combattimento proibito dal diritto internazionale umanitario.
Stabilisce che il rispetto delle presenti disposizioni sarà monitorato di mese in mese nell'ambito dei Rapporti del Segretario Generale sulla Risoluzione 2139(2014).
Il Consiglio di sicurezza invita le parti a lavorare per l'attuazione globale del Comunicato di Ginevra del 30 giugno 2012, verso una transizione politica autentica che venga incontro alle legittime ispirazioni del popolo siriano e lo metta in condizione di determinare in maniera indipendente e democratica il proprio futuro.
La gravità della minaccia in corso anche per la Siria viene efficacemente delineata dal rapporto A/HRC/27/60 reso noto a Ginevra il 27 agosto 2014 dalla Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulla Siria, dal quale emerge che in tutto il territorio controllato dall’ISIS si dà luogo a esecuzioni, amputazioni e flagellazioni pubbliche, e inoltre all’arruolamento persino di bambini di 10 anni. Chiunque può essere vittima di tali punizioni alla minima violazione della rigida interpretazione della legge islamica imposta dall’ISIS. Dal rapporto emerge inoltre come il regime di Damasco abbia continuato nell’utilizzazione seppur limitata di agenti chimici nei combattimenti contro le forze dei ribelli e contro i civili siriani - nel solo mese di aprile ciò sarebbe avvenuto otto volte. Prosegue intanto l’offensiva jihadista in territorio siriano sul versante del Golan.
La minaccia del terrorismo jihadista
Il 17 dicembre 2013, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU approva all'unanimità la Risoluzione n. 2129 (2013) sulle minacce alla pace e alla sicurezza internazionale recate dagli atti terroristici, nonché sulle attribuzioni fondamentali del Comitato contro il terrorismo -istitutito dalla risoluzione 1373 (2001) sul contrasto al terrorismo(16- nell'ambito della lotta a tale fenomeno. Tale risoluzione non opera sotto il Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.
La risoluzione in esame, riaffermando la necessità di combattere in qualsiasi modo le minacce alla pace e alla sicurezza internazionale recate dagli atti terroristici, sottolinea la necessità di porre in essere le misure necessarie ad evitare l'ulteriore propagarsi del fenomeno. In particolare si afferma la necessità che ciascuno Stato membro vigili sull'adozione di tali misure e prevenga qualsiasi tipo di finanziamento al terrorismo, evidenziando lo stretto legame esistente tra il terrorismo e le attività illecite quali traffico di droga, di armi e di esseri umani.
In particolare, con tale risoluzione, si sottolinea che lo scopo primario del Comitato contro il terrorismo (CTC) è di assicurare l'integrale esecuzione della risoluzione 1373 (2001) sul contrasto al terrorismo; nello svolgimento di tale mandato è cruciale il ruolo di sostegno svolto dalla Direzione esecutiva del Comitato.
Si stabilisce che la Direzione esecutiva del Comitato contro il terrorismo continuerà ad operare, fino al 31 dicembre 2017, come missione politica speciale sotto le indicazioni di policy del Comitato. Inoltre, la predetta Direzione, procederà ad un esame al fine di verificare gli obiettivi raggiunti alla data del 31 dicembre 2015.
Alla Direzione esecutiva del Comitato è demandato di valutare tendenze nuove tenendo conto della Strategia anti-terrorismo mondiale, consigliando il Comitato circa le misure concrete che gli Stati membri possono porre in essere al fine di applicare le risoluzioni 1373 (2001) e 1624 (2005).
La Direzione esecutiva del Comitato contro il terrorismo è tenuta a presentare studi e rapporti circa l'attuazione, da parte degli Stati membri, della risoluzione 1373(2001). Inoltre, periodicamente o su esplicita richiesta del Comitato, presenta a quest'ultimo dei rapporti inerenti le attività poste in essere per l'attuazione delle citate risoluzioni 1373 (2001) e 1624 (2005).
Inoltre, in accordo con gli Stati membri, divulga informazioni relative alla lotta contro il terrorismo e mira a perseguire un attivo dialogo con gli Stati stessi al fine di elaborare strategie integrate, in quanto un approccio globale al problema comporta indubbi vantaggi soprattutto in merito alla prevenzione della propagazione del fenomeno. Ricorda che il rispetto dei diritti dell'uomo e la lotta al terrorismo oltre ad essere complementari, si rinforzano vicendevolmente.
Rimanda alle norme internazionali dettagliate enunciate nelle 40 raccomandazioni del GAFI (Gruppo di Azione Finanziaria)(17in merito alla lotta al finanziamento del terrorismo ed al riciclaggio di denaro.
Infine, almeno una volta all'anno, il Comitato contro il terrorismo deve riferire oralmente al Consiglio, sullo stato del complessivo operato del Comitato e della Direzione esecutiva del Comitato; si sottolinea inoltre l'importanza della cooperazione del Comitato contro il terrorismo, del Comitato creato dalla risoluzione 1267 (1999)(18e 1989 (2011) per verificare l'attuazione delle misure contro i Talebani e del Comitato creato dalla risoluzione 1540 (2004) per verificare l'attuazione delle misure per prevenire la proliferazione delle armi di distruzione di massa.(19.
Il 27 gennaio 2014, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU approva all'unanimità la Risoluzione n. 2133 (2014) sul contrasto al finanziamento dei gruppi terroristi che possa derivare dai rapimenti e dai pagamenti dei relativi riscatti. Tale Risoluzione non agisce sotto il Capitolo VII della Carta della Nazioni Unite.
La risoluzione in esame, riaffermando la necessità di combattere in qualsiasi modo le minacce sulla pace e la sicurezza internazionale provenienti dagli atti terroristici, sottolinea l'obbligo per gli Stati membri di prevenire e reprimere qualsivoglia finanziamento di tali atti.
In particolare, l'atto in esame, riaffermando principi esposti nella precedente risoluzione 1373/2001( Minacce alla pace e alla sicurezza internazionale causate da atti di terrorismo), sottolinea che gli Stati membri devono operare al fine di prevenire e reprimere ogni tipo di finanziamento, attivo o passivo, agli atti terroristici e devono altresì impedire a chiunque si trovi sul proprio territorio di fornire risorse economiche al terrorismo.
Inoltre essa richiama gli Stati membri ad impedire che il terroristi si avvantaggino del pagamento dei riscatti o di concessioni politiche, nonché a garantire il rilascio degli ostaggi e la loro salvezza.
Inoltre essi sono chiamati ad adottare forme di cooperazione per la risoluzione dei rapimenti, nell'ipotesi di inchieste criminali relative al terrorismo, nonché a cooperare nel caso si debba perseguire la condotta penale relativa al finanziamento del terrorismo.
Il contrasto di qualsivoglia forma di finanziamento al terrorismo è fondamentale, in quanto le risorse economiche rappresentano il presupposto per il reclutamento posto in essere dai gruppi terroristici, favorendo l'espansione del fenomeno.
Il Consiglio di Sicurezza incoraggia il Comitato per la lotta al terrorismo -creato mediante la risoluzione 1373/2001 per monitorare l'implementazione della risoluzione stessa- a convocare un meeting speciale avvalendosi di expertise adeguate, che riunisca Stati membri e organizzazioni internazionali e regionali per discutere sulle misure per prevenire i rapimenti a scopo di estorsione. Pertanto, il Comitato deve riferire al Consiglio di Sicurezza dell'ONU gli esiti della riunione di cui sopra.
Richiama gli Stati membri all'utilizzo delle "buone pratiche" stabilite in occasione del Global Counterterrorism Forum, GCTF, mediante il "Memorandum di Algeri" che stabilisce le linee direttrici al fine di prevenire i rapimenti e far fronte ad essi senza il pagamento del riscatto.
Il Forum globale dell’antiterrorismo è stato fondato a New York nel settembre 2011. E' un foum internazionale di tipo pragmatico, orientato all'azione e a guida civile, composto da 29 Stati e dall'UE. Il suo scopo è quello di identificare le esigenze nazionali e internazionali in materia di lotta al terrorismo, di elaborare soluzioni adeguate e di coordinare e potenziare le capacità degli Stati interessati in questo ambito, in un'ottica di coerenza e di mututo sostegno con l'attività anti-terrorismo condotta dalle Nazioni Unite.
La risoluzione in esame, inoltre, richiede agli Stati membri una stretta cooperazione nella lotta al terrorismo ed esorta a tale cooperazione anche il Monitoring Team del Comitato delle sanzioni contro Al-Qaida (istituito con Ris. n. 1267(1989)), il Comitato del Consiglio di sicurezza isituito dall Ris. n. 1988 (2011) e gli altri organi dell'ONU incaricati della lotta la terrorismo.
Il 15 agosto del 2014 il Consiglio di Sicurezza all'unanimità adotta larisoluzione n. 2170 (2014) ai sensi del Capitolo VII della Carta, la prima di un pacchetto di tre sul contrasto ad ISIS(20. Tale risoluzione condanna il reclutamento di foreign fighters da parte ISIS e al-Nusra e aggiunge sei soggetti alla lista dei soggetti sanzionati nel quadro del regime al-Qaeda.
La risoluzione condanna nella maniera più forte gli atti terroristici, l'ideologia violenta ed estremista di ISIS e la sistematica violazione dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale. Condanna le atrocità, le uccisioni di massa, la violenza indiscriminata, gli attacchi alle scuole e agli ospedali, la distruzione del patrimonio culturale e ogni altra manifestazione terroristica. Ricorda che gli attacchi diffusi e sistematici contro la popolazione civile in ragione dell'appartenenza etnica o religiosa possono configurare crimine contro l'umanità e che tutti gli Stati membri sono tenuti ad opporvisi, richiamando anche la risoluzione 1371 del 2001, adottata subito dopo gli attacchi a New York che impone agli Stati di cooperare per combattere e assicurare alla giustizia i responsabili di atti di terrorismo, siano appartenenti ad al Qaeda ad ISIS ad Al-Nusra o ad altri gruppi terroristici.
La parte seconda della risoluzione condanna il reclutamento diforeign fighters e incoraggia gli Stati membri a prendere ogni misura per prevenire questo fenomeno. Stabilisce l'iscrizione nella lista delle sanzioni per chi non si attiene a tale divieto di reclutamento.
Per quanto riguarda le forme di finanziamento del terrorismo (Terza parte), ribadisce -come già affermato nella risoluzione n. 1373 (2001) e nella risoluzione n. 2161 (2014) sul contrasto ad Al-Qaeda(21- che gli Stati membri debbono porre in essere misure atte a fare in modo che nessun tipo di risorse economiche, assetsfinanziari o forme di sostegno siano disponibili per le formazioni terroristiche. Il Consiglio di Sicurezza nella presente risoluzione nota con preoccupazione che campi petroliferi e relative strutture generano una forma di entrate per ISIL e Al-Nusra che viene impiegata a fini di reclutamento e di rafforzamento delle capacità operative di organizzare atti terroristici. Gli Stati membri debbono impedire donazioni o finanziamenti verso formazioni terroristiche da parte di privati o enti pubblici. Si ribadisce che le disposizioni del paragrafo 1(a) della risoluzione 2161 (2014) relative all'asset freezesi applicano al pagamento di riscatti a individui, gruppi, imprese o entità che figurano nella lista dei gruppi legati ad Al-Qaeda, a prescindere da come e da chi viene pagato il riscatto.
L'ultima parte della Risoluzione disciplina le sanzioni. La risoluzione osserva che ISIL e Al-Nusra sono gruppi scissionisti di Al-Qaeda e quindi ricadono nella lista dei soggetti sanzionati nel quadro del regime Al-Qaeda. Chiunque sostenga, finanzi, supporti queste organizzazioni è oggetto di sanzioni. La speciale Commissione istituita nel 1999 per coordinare il controllo del Consiglio di sicurezza sulle attività di finanziamento dei Talebani in Afghanistan e poi confermata successivamente, è incaricata di sorvegliare l'attuazione di queste disposizioni e di ricevere le segnalazioni da parte degli Stati membri di persone che possono rientrare nelle liste di membri del terrorismo. In allegato alla risoluzione sono elencati i nominativi di sei persone oggetto di sanzioni ai sensi del paragrafo 1 della risoluzione 2161 del 2014, quali: congelamento dei conti finanziari; proibizione dei viaggi; embargo sulle armi; iscrizione in liste che segnalano particolari attività sospette.
Il 24 settembre 2014 il Consiglio di Sicurezza all'unanimità adotta larisoluzione n. 2178 (2014) ai sensi del Capitolo VII della Carta, la seconda di un pacchetto di tre sul contrasto ad ISIS. Tale risoluzione disciplina le misure di contrasto al fenomeno dei foreign fighters terrorists (FFT) e richiama gli Stati membri a punire l'arruolamento in gruppi con finalità di terrorismo e la propaganda pro-ISIS.
Tale risoluzione condanna tutti gli atti di terrorismo e l'estremismo violento che può condurre ad esso, invitando gli Stati membri ad operare serrati controlli al fine di impedire la circolazione dei terroristi, stabilendo, pertanto, la necessità di una stretta cooperazione ed un assiduo scambio di informazioni. Essa, richiamndo la risoluzione 1373 (2001), chiede che gli Stati membri controllino che tutti coloro che appoggiano il terrorismo, in qualsiasi forma, siano portati innanzi alla giustizia e che facciano in modo che gli ordinamenti penali nazionali prevedano reati gravi da perseguire e sanzionare in maniera tale da rispecchiare la gravità dei reati stessi(22.
Inoltre essa stabilisce che coloro che contribuiscono al fenomeno deiforeign fighters terrorists (FFT), finanziando, armando, reclutando o sostenendo anche tramite le tecnologie di informazione e comunicazione -quali Internet, social media, ecc.- individui o gruppi associati ad Al-Qaeda devono essere iscritti sulla Lista delle sanzioni in applicazione della risoluzione 2161 (2014). Al fine di ostacolare il transito dei terroristi, invita le compagnie aeree a comunicare alle autorità nazionali competenti informazioni sui passeggeri.
Consapevole che la lotta al terrorismo necessita dell'impegno congiunto di tutti gli Stati membri, invita questi ultimi a migliorare gli strumenti della cooperazione ricordando, altresì, che la risoluzione 1373 (2001), precisa che tutti gli Stati membri devono cooperare anche nell'ipotesi di inchieste criminali. Inoltre, incoraggia anche l'INTERPOL ad incrementare gli sforzi per arginare la minaccia dei terroristi.
La risoluzione in esame pone l'accento anche sulla lotta all'estremismo violento che si traduce poi in terrorismo, invitando gli Stati membri a fare in modo che le persone e la popolazione risolvano i conflitti mediante mezzi non violenti di prevenzione.
Infine conferma la partecipazione delle Nazioni Unite alla lotta contro la minaccia rappresentata dai combattenti terroristi stranieri stabilendo che tali soggetti, nonchè coloro che finanziano i viaggi potranno essere iscritti sulla Lista delle sanzioni contro Al-Qaida. Incarica il Comitato contro il terrorismo, la Direzione esecutiva del Comitato contro il terrorismo, Il Gruppo per la sorveglianza delle sanzioni, in stretta collaborazione con tutti gli organismi delle Nazioni Unite impegnati nelle lotta al terrorismo, di cooperare per contrastare la minaccia rappresentata dai FFT reclutati dall'ISIS, dal Fronte al-Nusra e dai gruppi comunque associati ad Al-Qaeda.
Il 12 febbraio 2015, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha approvato all'unanimità la Risoluzione n. 2199 (2015) ai sensi del Capitolo VII della Carta, la terza di un pacchetto di tre sul contrasto ad ISIS e più precisamente sul contrasto al finanziamento dei gruppi terroristi islamici (ISIS, Al-Nusrah e gruppi affiliati ad Al-Qaeda). Il testo è stato proposto dalla Russia e sponsorizzato da 35 Paesi tra cui l’Italia.
Si tratta di una risoluzione che fornisce "chiare istruzioni pratiche" per contrastare il contrabbando del petrolio, i saccheggi e il traffico clandestino di antichità, i riscatti per i rapimenti e le donazioni esterne, condannando fermamente, ogni tipo di partecipazione, diretta o indiretta, al commercio illegale da cui tali gruppi possano trarre i loro proventi, nonché impedendo ogni tipo di fornitura di armi a favore di tali gruppi.
L'atto in esame, riaffermando i principi forniti dalla risoluzione 1373 (2001) e in particolare le previsioni in base alle quali tutti gli Stati membri dell'ONU devono operare al fine di prevenire e reprimere il finanziamento di atti di terrorismo, astenendosi altresì dal fornire qualsiasi forma di sostegno, attivo o passivo, ad entità o persone coinvolte in atti terroristici, mira ad arrestare i flussi finanziari che sostengono le attività della jihad ed a porre fine al traffico di antichità da Iraq e Siria e al pagamento dei riscatti per ottenere la liberazione di ostaggi. Il raggiungimento di tali obiettivi sarà garantito dalla previsione di apposite sanzioni finanziarie per chi contravviene alle predette disposizioni. Si auspica, in tal modo una netta diminuzione dei profitti derivanti dal contrabbando di petrolio e dai sequestri. Tale risoluzione, al punto 10, afferma che, oltre allo scambio illegale del petrolio, anche il commercio illegale di altre risorse economiche quali i metalli preziosi -come oro, argento e rame, diamanti,- potrebbe costituire una violazione degli obblighi imposti dalla presente risoluzione e dalla risoluzione 2161 (2014) sul congelamento dei fondi ed assets economici dei gruppi terroristici o sull'embargo delle armi.
Il saccheggio di antichità, è stato definito un vero e proprio “cultural cleansing” e, la risoluzione 2199, chiede, pertanto, agli Stati membri dell'ONU di prendere le misure appropriate per fermare il traffico. Il Consiglio di Sicurezza ha deciso che tutti gli Stati membri devono porre in essere le misure necessarie ad impedire il commercio dei beni aventi valore culturale, archeologico, storico, scientifico e religioso.
In materia di rapimenti per ottenere il riscatto (ai punti 18 e 19), la risoluzione 2199, innanzitutto ribadisce la determinazione a prevenire i rapimenti e la detenzione di ostaggi da parte di gruppi terroristici e ad ottenere il rilascio degli ostaggi senza pagamento di riscatti o concessioni politiche; ribadisce che le disposizioni del paragrafo 1(a) della risoluzione 2161 (2014) relative all'asset freezesi applicano al pagamento di riscatti a individui, gruppi, imprese o entità che figurano nella lista dei gruppi legati ad Al-Qaeda, a prescindere da come e da chi viene pagato il riscatto. La risoluzione precisa che tale obbligo di asset freeze si applica sia nei confronti di ISIS che nei confronti di ANF (Al-Nusrah Front), ed invita gli Stati membri ad incoraggiare i partner del settore privato affinché adottino le linee guida rilevanti e le "good practices" per la prevenzione e la risposta ai sequestri terroristici senza dover pagare un riscatto.
Al punto 29 del testo in esame, il Consiglio di sicurezza dell'ONU chiede a tutti i governi entro 120 giorni, di fare rapporto sulle misure adottate al fine di rispettarne le previsioni.

1) Il 26 febbraio 2011 Consiglio di Sicurezza dell'ONU approvava la risoluzione 1970 (2011) che stabiliva l'embargo su tutte le armi in entrata e in uscita dalla Libia, l'imposizione di sanzioni e il congelamento dei beni di Gheddafi e di altri esponenti del regime.
2) Si ricorda che, ai sensi del Capitolo VII della Carta, il Consiglio di Sicurezza, accertata l'esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace o di un atto di aggressione, può sia decretare contro uno Stato misure sanzionatorie non implicanti l'uso della forza (interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle comunicazioni -ferroviarie, marittime, aeree, postali, telegrafiche, radio ed altre- e la rottura delle relazioni diplomatiche (art. 41), sia misure implicanti l'uso della forza (costituzione di forze armate per operazioni di polizia internazionale) (artt. 42 e ss.). 
3) Si ricorda che la partecipazione dell'Italia alle missioni in Libia era stata autorizzata dalle risoluzioni di Camera e Senato (Doc XXIV , n. 17) approvate al termine della seduta del 18 marzo 2011 in cui era stata svolta l'informativa dei Ministri Frattini e La Russa innanzi alle Commissioni 3^ e 4^ Senato e III e IV Camera sulle recenti determinazioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU in merito alla crisi in Libia. Successivamente, a seguito delle comunicazioni sulla crisi libica rese separatamente alla Camera e al Senato il marzo 2011 dai Ministri degli Affari esteri e della Difesa sugli sviluppi dell’intervento militare multilaterale, ciascun Ramo approvava risoluzioni che impegnavano il Governo a proseguire nella cooperazione internazionale per la piena attuazione della risoluzione ONU n. 1973, nonché a perseguire un rinnovato approccio diplomatico per la soluzione della crisi. Il DL 12 luglio 2011 n. 107 all'art. 4, comma 19, autorizzava la partecipazione alla missione militare di attuazione degli interventi per la protezione dei civili in Libia, per il rispetto del divieto di sorvolo nello spazio aereo libico e per l'embargo delle armi, di cui alle risoluzioni 1970 (2011) e 1973 (2011).
La partecipazione italiana alla missione Unified Protector , dal punto di vista aereo, ha visto l’impiego di 7 Eurofighter Typhoon, con compiti di sorveglianza e difesa aerea, 4 F-16, 7 Tornado ECR, per le missioni SEAD, 5 Tornado IDS, con compiti di ricognizione e un aereo cisterna KC-130J, tutti di stanza alla base di Trapani. Dalla portaerei Garibaldi hanno operato 6 Harrier AV-8B II+, con funzioni di difesa aerea e ricognizione. 
4) Lo stesso giorno in cui l'Assemblea Generale dell'ONU riconosce il Consiglio nazionale transitorio (CNT).
5) L'articolo 1, comma 16, del DL 29 dicembre 2011 n. 215 ha autorizzato per il periodo 1° gennaio 31 dicembre 2012, l’impiego di personale militare in attività di assistenza, supporto e formazione in Libia, in linea con le risoluzioni 2009 (2011), 2016 (2011) e 2022 (2011) adottate dal Consiglio si Sicurezza delle Nazioni Unite. La medesima disposizione ha, inoltre, previsto la copertura finanziaria per l’impiego del personale militare in Libia, relativamente al precedente periodo 1° ottobre - 31 dicembre 2011, a valere sulle risorse stanziate dall’articolo 4 comma 19 del precedente decreto legge di proroga delle missioni internazionali (DL 107/2011), relativamente alla missione in Libia disposta a seguito delle risoluzioni 1970 (2011) e 1973 (2011) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, per il rispetto di una no fly zone in territorio libico, l'embargo del traffico d'armi e la protezione dei civili.
6) A breve distanza di tempo, il 19 marzo 2014 viene adotta dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU all'unanimità anche la Risoluzione n. 2146 (2014) per stabilire misure per prevenire l'esportazione illecita di petrolio per mare.
7) I materiali non letali non vengono esplicitamente menzionati.
8) Il D.L. 18 febbraio 2015 n. 7 (misure di contrasto al terrorismo e proroga missioni) autorizza per i primi 9 mesi del 2015 la partecipazione italiana alle missioni UNSMIL e EUBAM Libya complessivamente per 30 unità. 
9) Nel conflitto per l'indipendenza dell'Azawad si sono inserite altre forze destabilizzatrici, come la rete di al-Qaeda operante nel Maghreb (AQIM), che da un decennio è attiva nella regione e in particolar modo in Algeria, e i gruppi jihadisti Ansar Dine e MUJAO (movimento per l'unità e il Jihad nell'Africa Occidentale).
10) Si ricorda che già nella Risoluzione 2056 (2012) del 5 luglio 2012, il Consiglio di sicurezza aveva preso nota della richiesta dell'ECOWAS e dell'Unione Africana di chiedere mandato al Consiglio di Sicurezza per dispiegare una Forza ECOWAS di stabilizzazione per il sostegno al processo politico maliano, per difendere l'integrità territoriale del Mali e per combattere il terrorismo. Si ricorda altresì che la Risoluzione 2071(2012)del 12 ottobre 2012 dichiarava la prontezza del Consiglio di Sicurezza a rispondere alla richiesta delle autorità di transizione del Mali circa una forza militare internazionale in grado di assistere le FFAA del Mali a riprendere il controllo delle regioni occupate del Mali settentrionale.
11) L'articolo 1, comma 16, del DL 10 ottobre 2013 n. 114 ha autorizzato per la prima volta, per il periodo 1° ottobre 2013 al 31 dicembre 2013, la partecipazione di personale militare alla missione delle Nazioni Unite in Mali MINUSMA (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali) nonché la proroga della partecipazione di personale militare alle missioni dell’Unione Europea denominate EUCAP Sahel Niger e EUTM Mali.
Si ricorda altresì che l'art. 13, comma 5, del DL 18 febbraio 2015 n. 7 (misure di contrasto al terrorismo e proroga missioni) autorizza per i primi 9 mesi del 2015 la partecipazione italiana alle missioni MINUSMA, EUCAPSahel Niger e EUTM Mali complessivamente per 27 unità. 
12Report of the Secretary General on the situation in the Sahel Region, 14 June 2013, S/2013/354, par. 4.
13) Gli interessi strategici di questo gruppo di Paesi, due dei quali con potere di veto in Consiglio di sicurezza, sono ben noti. L'Iran mantiene la tradizionale stretta alleanza con il regime alawita ai fini di una proiezione d'influenza non solo sulla Siria ma anche sulle forze Hezbollah in Libano. La Cina, che dal 2009 rappresenta il maggior partner commerciale dell’Iran, è spinta dalle crescenti necessità di petrolio verso la difesa del regime di Assad in Siria, con l’intento di evitare di isolare la Repubblica Islamica dal resto della regione. Infine la Russia vuole mantenere un ruolo in Medio Oriente tramite l'alleata Siria che, ospitando la base navale russa di Tartus, le consente anche di mantenere un accesso al Mediterraneo. 
14) Allegato alla Risoluzione 2042 (2012) del 14 aprile 2012 del Consiglio di Sicurezza. Tale risoluzione aveva già disposto l'invio di unadvance team di 30 osservatori in Siria.
Il Piano in 6 punti di Kofi Annan chiedeva di:
  1. lavorare con gli inviati internazionali - indicando un interlocutore politico che parli a nome del governo - per avviare un processo di pacificazione che includa tutte le componenti del popolo siriano;
  2. cessare le violenze armate, gli scontri e i movimenti di truppe da parte delle opposte fazioni;
  3. assicurare un tempestivo intervento per quanto riguarda le emergenze umanitarie, consentendo libertà di movimento e di accesso agli operatori;
  4. liberare le persone detenute arbitrariamente e consentire ad osservatori internazionali di accedere ad informazioni su di esse e sui luoghi di detenzione;
  5. assicurare alla stampa libertà di movimento e fornire i permessi necessari;
  6. rispettare la libertà di associazione e di manifestazione.

15) Il 6 marzo 2015, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha approvato, con l'astensione del Venezuela, la Risoluzione n. 2209 (2015) che condanna l'uso del gas cloro in Siria. Anche quest'ultima risoluzione non opera sotto il Capitolo VII della Carta dell'ONU, bensì decide di ricorrere alle misure del capitolo VII in caso di mancato rispetto delle misure disposte dalla presente risoluzione. In base all'accordo rusoo-americano del 2013, la Sira non ha dovuto dichiarare la sua riserva di cloro - un agente tossico che può essere impiegato come un'arma chimica in violazione della Risoluzione n. 2118 (2013) - perchè è ampiamente utilizzata per scopi commerciali e domestici. La Commissione d'inchiesta dell'OPAC ha concluso con "un alto grado di affidabilità" che agenti chimici tossici sono stati impiegati come armi in Siria.
16) Adottata pochi giorni dopo gli attacchi dell'11 settembre 2011.
17) Il GAFI o FATF (Financial action task force) è un organismo intergovernativo, sorto nel 1989 in occasione del G7 di Parigi, il cui scopo è la promozione di politiche per il contrasto del riciclaggio di denaro di origine illecita, del finanziamento al terrorismo e del finanziamento della proliferazione di armi di distruzione di massa. Il Segretariato del GAFI è ospitato presso l'OCSE. Nel 2015 ha pubblicato un rapporto sul finanziamento di ISIS disponbile alla URL http://www.fatf-gafi.org/media/fatf/documents/reports/Financing-of-the-terrorist-organisation-ISIL.pdf
18) Al punto 6) della risoluzione 1267/1999 è stato creato un Comitato composto da tutti gli Stati membri con lo scopo di riferire al Consiglio circa il lavoro svolto e di fornire raccomandazioni e osservazioni.
19) Al punto 4 della risoluzione 1540/2004 si prevede la costituzione di un Comitato composto da tutti gli Stati membri che dovrà riferire circa l'esecuzione della risoluzione.
20) A fine giugno 2014, lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) proclama un Califfato a cavallo dei territori settentrionali iracheno e siriano.
21) Adottata dal Consiglio di Sicurezza all'unanimità il 17giugno 2014, è posta sotto il Capitolo VII della Carta.
22) Si ricorda che anche nell'ottica di dare attuazione alla Risoluzione n. 2178 (2014), il DL n. 7/2015 recante (contrasto al terrorismo e proroga missioni), attualmente all'esame della Camera (A.C. 2893), prevede in un unico provvedimento - secondo quanto esplicitato dalla relazione illustrativa del governo- "misure volte sia a rafforzare e attualizzare gli strumenti di prevenzione e repressione penale del fenomeno nel territorio dello Stato, sia a consentire la partecipazione a missioni internazionali delle Forze armate e di polizia finalizzate alla cooperazione allo sviluppo e al sostegno ai processi di ricostruzione e di pace".