sabato 12 dicembre 2015

Verona: Pinotti e Tosi firmano accordo per caserme cittadine

Comunicato della Difesa del  9 dicembre 2015  -  Roma

Verona: Pinotti e Tosi firmano accordo per caserme cittadine

​Stipulato oggi a Roma un accordo tra lo Stato ed il Comune di Verona, mirato alla riqualificazione urbanistica e alla trasformazione delle infrastrutture militari nella città
“Dobbiamo usare al meglio il patrimonio di cui disponiamo, perché oggi più che mai è importante evitare qualsiasi spreco”.
Nelle parole del Ministro Pinotti c’è il significato dell’iniziativa portata a termine con l’Agenzia del Demanio e il Comune di Verona per la valorizzazione delle caserme dismesse. Un Patrimonio non più necessario alla Difesa per svolgere   propri compiti ma che può diventare fondamentali per riallocare funzioni dello Stato o delle città.
L’accordo odierno - che prevede di destinare la Caserma Rossani quale nuova sede dei Vigili Urbani di Verona - è stato firmato dal Ministro della Difesa, Roberta Pinotti, dal Sindaco di Verona, Flavio Tosi, e dal Direttore Generale dell’Agenzia del Demanio, Roberto Reggi.
“Un dovere verso i nostri figli e verso i nostri padri” ha spiegato il Ministro che non ha esitato a definire l’intero progetto un “dovere patriottico, un modo per rendere un servizio alla Paese”.
Anche il Sindaco Tosi ha espresso soddisfazione per il progetto: “Una conclusione felice per la città di Verona, ma anche un segnale positivo della burocrazia che funziona”. Un riferimento al fatto che l’operazione di interesse pubblico è stata gestita e realizzata in tempi brevi, appena qualche mese.
Nel dettaglio, con il protocollo d’intesa siglato oggi la Difesa metterà a disposizione tre caserme: la Rossani, la Trainotti  e la Busignani. In cambio, il Comune di Verona si farà carico dei lavori di rifunzionalizzazione di altri immobili militari - tra cui il comprensorio “Pianelli-Li Gobbi” - situati nel medesimo territorio. Ciò consentirà, tra l’altro, di soddisfare le esigenze di altre articolazioni dello Stato, favorendo la riduzione dei costi per fitti passivi.
Una sorta di “baratto amministrativo” che, come suggerito dal Direttore Generale dell’Agenzia del Demanio, Roberto Reggi, potrebbe diventare un modello anche per le altre amministrazioni dello Stato.
Il protocollo si traduce, infatti, in una ottimizzazione del patrimonio immobiliare presente a Verona e rientra in un processo che vede il Ministero della difesa e l’Agenzia del Demanio da tempo impegnati nella razionalizzazione, riqualificazione, riuso e valorizzazione del patrimonio immobiliare del Dicastero.

martedì 8 dicembre 2015

Amnesty Intrernational - Chi ha armato lo Stato Islamico: fatti e cifre

Come abbiamo armato lo "Stato islamico": Amnesty International denuncia decenni di commerci irresponsabili di armi

CS195-08/12/2015

Soldato delle forze di sicurezza irachene tra le munizioni del gruppo Stato islamico esposte nella provincia di al-Alam Salahuddin, 17 marzo 2015 © REUTERS/Thaier Al-Sudani
Soldato delle forze di sicurezza irachene tra le munizioni del gruppo Stato islamico esposte nella provincia di al-Alam Salahuddin, 17 marzo 2015 © REUTERS/Thaier Al-Sudani
In un nuovo rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha denunciato come decenni di forniture mal regolamentate di armi all'Iraq e gli scarsi controlli sul terreno abbiano messo a disposizione del gruppo armato che si è denominato "Stato islamico" un ampio e mortale arsenale, usato per compiere crimini di guerra e crimini contro l'umanità su scala massiccia nello stesso Iraq e in Siria.

Basandosi sull'analisi, da parte di esperti, di migliaia di video e immagini di cui è stata verificata l'autenticità, il rapporto di Amnesty International - intitolato "Fare scorta: come abbiamo armato lo "Stato islamico" - spiega come il gruppo armato stia usando armi, in larga parte prelevate dai depositi militari iracheni, concepite e prodotte in almeno 25 paesi compresi Russia, Cina, Usa e alcuni stati dell'Unione europea.

"La quantità e la varietà delle armi usate dallo 'Stato islamico' è l'esempio da manuale di come commerci irresponsabili di armi alimentino atrocità di massa" - ha dichiarato Patrick Wilcken, ricercatore su controlli sulle armi, commerci di materiali di sicurezza e violazioni dei diritti umani di Amnesty International.

"La scarsa regolamentazione e la mancata supervisione sull'immenso afflusso di armi in Iraq a partire da decenni fa sono state la manna dal cielo per lo 'Stato islamico' e altri gruppi armati, che si sono trovati a disposizione una potenza di fuoco senza precedenti" - ha commentato Wilcken.

Dopo aver preso il controllo di Mosul, la seconda città dell'Iraq, nel giugno 2014, lo "Stato islamico" è entrato in possesso di un'incredibile quantità di armi e munizioni di fabbricazione internazionale, tra cui armi e veicoli militari made in Usa poi utilizzati per conquistare altre parti del paese, con conseguenze devastanti per le popolazioni locali.

Questa enorme disponibilità di armi catturate o acquisite in modo illecito ha permesso allo "Stato islamico" di portare avanti una terribile campagna di violenza:uccisioni sommarie, stupri, torture, rapimenti e presa di ostaggi hanno costretto centinaia di migliaia di persone a fuggire, trasformandosi in profughi interni o in rifugiati.
 

Un'incredibile varietà di armi

La quantità e qualità delle armi nelle mani dello "Stato islamico" è la conseguenza di decenni di trasferimenti irresponsabili di armi all'Iraq e dei molteplici fallimenti nel gestire le importazioni di armi e introdurre meccanismi di monitoraggio, a partire dall'occupazione militare del 2003, per evitare che quel materiale finisse nelle mani sbagliate. La carenza di sorveglianza dei depositi militari e l'endemica corruzione mostrata dai vari governi iracheni hanno contribuito ad aggravare la situazione.

Il rapporto di Amnesty International documenta l'uso, da parte dello "Stato islamico", di armi e munizioni provenienti da almeno 25 paesi, con un'ampia proporzione originariamente fornita all'esercito iracheno da Usa, Russia e paesi dell'ex blocco sovietico. Queste forniture sono state pagate col petrolio o sono state oggetto di accordi tra il Pentagono e la Difesa irachena o, ancora, frutto di donazioni da parte della Nato. La maggior parte di esse è stata presa dai depositi militari finiti sotto il controllo dello "Stato islamico" o da quei depositi illecitamente trasferita.

Tra le armi avanzate finite nelle mani dello "Stato islamico" vi sono i sistemi di difesa aerea portabili a spalla (noti con l'acronimo Manpads), missili anti-carro guidati, veicoli blindati da combattimento, fucili d'assalto come gli Ak russi e gli M16 e i Bushmaster statunitensi.

La maggior parte delle armi convenzionali usate oggi dallo "Stato islamico" risale al periodo che va dagli anni Settanta agli anni Novanta e comprende pistole, rivoltelle e altre armi leggere, mitragliatrici, armi anti-carro, mortai e altra artiglieria. Assai utilizzati sono i fucili simili ai kalashnikov dell'era sovietica, prodotti principalmente in Russia e Cina.

"Ancora una volta dobbiamo constatare che per inviare armi in regioni instabili occorrono un'analisi del rischio da parte di esperti e misure per la riduzione del danno. Sono processi lunghi che richiedono verifiche approfondite. Bisogna verificare, ad esempio, se le forze militari e di sicurezza del paese destinatario sono in grado di sorvegliare efficacemente i depositi e rispettare gli standard del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale" - ha commentato Wilcken.

Lo "Stato islamico" e altri gruppi armati hanno anche iniziato a produrre armi per conto proprio: razzi, mortai, granate, ordigni esplosivi improvvisati, trappole esplosive, autobombe e persino bombe a grappolo, queste ultime proibite a livello internazionale. Tra gli ordigni esplosivi improvvisati figurano le mine terrestri, a loro volta vietate dal Trattato per la messa al bando delle mine.

La catena di rifornimento

Il rapporto di Amnesty International ripercorre la lunga storia della proliferazione delle armi in Iraq e la complessa catena di rifornimento che molto probabilmente ha portato alcune delle più recenti forniture nelle mani dello "Stato islamico".

depositi iracheni si sono riempiti di armi alla fine degli anni Settanta e all'inizio degli anni Ottanta, soprattutto nel contesto della guerra con l'Iran, un fattore determinante per lo sviluppo del moderno mercato globale delle armi: almeno 34 paesi fornirono armi all'Iraq, ma 28 di questi le inviarono anche all'Iran. Nel frattempo, l'allora presidente iracheno Saddam Hussein dirigeva lo sviluppo di una fiorente industria delle armi in grado di produrre armi leggere, mortai e pezzi d'artiglieria.

L'embargo imposto dalle Nazioni Unite dopo che nel 1990 l'Iraq invase il Kuwait ridusse le importazioni ma dal 2003, durante e dopo l'invasione diretta dagli Usa, le forniture sono riprese massicciamente, senza che in molti casi vi fossero garanzie e controlli da parte delle forze della coalizione Usa e delle ricostituite forze armate irachene. Centinaia di migliaia di queste armi sono svanite nel nulla e ancora oggi non se ne trova traccia.

I tentativi più recenti di ricostituire e riequipaggiare l'esercito iracheno e le forze a questo associatehanno ancora una volta determinato un massiccio afflusso di armi in Iraq. Tra il 2011 e il 2013, gli Usa hanno sottoscritto contratti del valore di miliardi di dollari per la fornitura di 140 carri M1A1 Abrams, decine di aerei da combattimento F16, 681 missili terra-aria portabili a spalla Stinger, batterie anti-aeree Hawk e altro equipaggiamento. Alla fine del 2014, gli Usa avevano inviato al governo iracheno armi leggere e munizioni per un valore di oltre 500 milioni di dollari.

L'endemica corruzione all'interno dell'esercito iracheno, così come i blandi controlli nei pressi dei depositi militari e nel rintracciamento delle armi, rendono tuttora elevato il rischio che queste forniture possano finire nelle mani di gruppi armati come lo "Stato islamico".

Impedire la proliferazione delle armi

Dagli errori del passato, gli stati possono apprendere la lezione e adottare misure urgenti per impedire l'ulteriore proliferazione delle armi in Iraq, in Siria e in altre nazioni e regioni instabili.

Amnesty International chiede a tutti gli stati di stabilire unembargo totale nei confronti del governo siriano e dei gruppi armati d'opposizione implicati in crimini di guerra, crimini contro l'umanità e altre gravi violazioni del diritto internazionale.

Gli stati dovranno inoltre adottare la regola della "presunzione del rifiuto" nei confronti delle esportazioni di armi verso l'Iraq, ossia autorizzare i trasferimenti solo dopo aver compiuto un rigoroso accertamento dei rischi. Le unità dell'esercito e di polizia dell'Iraq giudicate eccezione alla regola dovranno prima di tutto dimostrare di rispettare in modo rigoroso e integrale il diritto internazionale dei diritti umani e il diritto internazionale umanitario e, in secondo luogo, di essere dotate dei necessari meccanismi di controllo per garantire che le forniture non saranno girate ai gruppi armati.

Inoltre, ogni stato che stia considerando possibili trasferimenti di armi all'esercito iracheno dovrà prioritariamente investire il massimo delle risorse neicontrolli preventivi e successivi, nell'addestramento e nella supervisione, in modo che i destinatari rispettino gli standard internazionali sulla gestione e sull'impiego di tali armi.

Tutti gli stati che non l'hanno ancora fatto, dovranno immediatamente depositare gli strumenti di accessione o di ratifica al Trattato internazionale sul commercio delle armi. Uno degli obiettivi del Trattato è quello di "prevenire e sradicare il commercio illecito di armi convenzionali e impedire che vengano girate" ad altre parti. Il Trattato, inoltre, contiene norme per fermare le forniture di armi ove vi sia un elevato rischio che queste siano usate per compiere gravi violazioni del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario.

"L'eredità della proliferazione delle armi e delle violazioni dei diritti umani in Iraq e nelle zone circostanti ha già distrutto la vita e i beni di milioni di persone e costituisce una minaccia ancora in corso. Le conseguenze delle irresponsabili forniture di armi all'Iraq e alla Siria, e la loro successiva cattura da parte dello 'Stato islamico', devono essere un campanello d'allarme per gli esportatori di armi di ogni parte del mondo" - ha concluso Wilcken.

Informazioni aggiuntive riguardo all'Italia

Il rapporto di Amnesty International evidenzia come anche l'Italia possa aver giocato un ruolo non indifferente nell'armare lo "Stato islamico", rifornendo durante la guerra del 1980-88 - secondo fonti ufficiali Usa reperibili online - sia l'Iraq che, in maniera meno trasparente, l'Iran.

Dal 2003, l'Italia ha partecipato alla cosiddetta "guerra al terrore", nel cui contesto al dipartimento della Difesa Usa fu concessa ulteriore libertà di trasferire armi all'Iraq, attraverso l'Iraq Relief and Reconstruction Fund, prima, e l'Iraq Security Forces Fund, tra il 2004 e il 2007. Ciò esentava il Pentagono dal doversi conformare a qualsiasi disposizione di legge, incluse quelle relative ai diritti umani. In quegli anni, mentre finivano in circolazione le scorte eccedenti delle forze armate irachene sconfitte e poi congedate, la coalizione guidata dagli Usa firmò contratti per almeno un milione di dollari in ulteriori armi leggere e milioni di munizioni, provenienti anche dall'Italia.

L'ascesa dello "Stato islamico" e le sue conquiste territoriali tra giugno e agosto 2014 hanno determinato un grande cambiamento nelle politiche internazionali relative alla fornitura di armi nella regione. Nel 2014, infatti, gli Usa hanno coordinato sforzi congiunti per rispondere alla domanda di armamenti dell'Iraq cominciando a rifornire regolarmente, insieme ad altri 11 paesi europei tra cui l'Italia, anche le forze curde che si opponevano nel paese allo "Stato islamico".
 
 
 
FINE DEL COMUNICATO                                 Roma, 8 dicembre 2015

SONO 4 MILIONI GLI EXTRA COMUNITARI IN ITALIA

Cittadini non comunitari: presenza, nuovi ingressi e acquisizioni di cittadinanza 

Al 1° gennaio 2015, in base ai dati forniti dal Ministero dell'Interno, sono regolarmente presenti in Italia 3.929.916 cittadini non comunitari.
Tra il 2014 e il 2015 il numero di cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti è aumentato di circa 55mila unità (+1,4%). I paesi più rappresentati sono: Marocco (518.357), Albania (498.419), Cina (332.189), Ucraina (236.682) e Filippine (169.046).
I minori stranieri rappresentano il 24% dei cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti. Si tratta quindi di una popolazione relativamente giovane considerando che la quota di minori italiani e non, su tutta la popolazione residente al 1 gennaio 2015 è pari al 16,6%.
La quota di soggiornanti di lungo periodo continua a crescere: passa da 2.179.607 nel 2014 (il 56,3% sul totale) a 2.248.747 nel 2015 (57,2%).
Si registra una lieve flessione del numero di nuovi permessi di soggiorno concessi: durante il 2014 ne sono stati rilasciati 248.323, circa il 3% in meno rispetto al 2013. In calo gli ingressi delle donne (-14%) mentre, al contrario, sono in aumento quelli degli uomini (+7,5%).
La riduzione dei nuovi permessi interessa in particolare alcune regioni del Nord: Emilia Romagna
(-3.669), Veneto (-3574) e Lombardia (-2.444). Aumenti consistenti si rilevano invece in Campania (+3.120, 19%) e in Sicilia (+3.483, 28%).
Nel 2014 si registra, in particolare, una forte contrazione degli ingressi per motivi di lavoro, sia in termini assoluti (-27.500), sia in termini relativi. Se nel 2013 rappresentavano più del 33%, nel 2014 sono scesi al 23%.
Tra il 2013 e il 2014 diminuiscono in termini assoluti i nuovi ingressi per famiglia (-3.844 unità), anche se il loro peso relativo si mantiene intorno al 41% .
A raddoppiare in termini assoluti sono invece i permessi per asilo e protezione umanitaria: nel 2014 da 19.146 sono passati a 47.873. In termini relativi arrivano a rappresentare il 19,3% dei nuovi ingressi, dal 7,5% del 2013.
Abbiamo riportato senza commenti  un Comunicato stampa dell'Istat
Direzione centrale delle statistiche socio-demografiche e ambientale