domenica 13 gennaio 2013

L'Approfondimento: Ma si può uscire dalla crisi?


L'Approfondimento: Ma si può uscire dalla crisi?

Intervista al professor Antonio Maria Rinaldi

Rinaldi

PdL-Le politiche di austerity del governo Monti, prone al volere della “Troika” formata da Fmi-Bce-Ue (con la benedizione della Germania), si sono rivelate – come peraltro era logico e prevedibile - fallimentari.
Non è un’opinione, sono i numeri a testimoniarlo. Dall’aumento del debito pubblico al crollo dei consumi, dalla pressione fiscale intollerabile alla crisi delle Pmi, dalla disoccupazione (specie quella giovanile) in costante aumento ai preoccupanti scricchiolii che investono il settore immobiliare, seguiti all’introduzione dell’Imu, l’Italia si è scoperta all’improvviso più povera, stanca, spaventata e priva di prospettiva.

In questo quadro, alcuni economisti appartenenti a diverse scuole di pensiero, ma concordi nel denunciare le conseguenze nefaste e recessive dell’austerity, hanno elaborato strategie alternative per aiutare il Paese a risollevarsi e superare la crisi che lo attanaglia.
Abbiamo quindi deciso di dar loro spazio e di intervistarli per farci spiegare sia quali errori sono stati commessi sino a oggi, sia quali sono le loro proposte per risollevare le sorti del Paese. Le risposte abbracciano le politiche monetarie, fiscali, industriali, gli equilibri (e gli squilibri) che si sono venuti a creare fra le nazioni europee con l’introduzione dell’Euro, la necessità di rivedere i trattati europei e molte altre voci.

Il dibattito, è giusto sottolinearlo, è “apolitico”: in questo spazio raccoglieremo interventi di professionisti ed esperti che hanno convinzioni e percorsi personali di stampo differente, ma sono uniti dalla convinzione che ciò che è assolutamente necessario e urgente, oggi, è rimettere in moto l’economia e fermare la frana che rischia di seppellire l’Italia.

Iniziamo con l’intervista al Prof. Antonio Maria Rinaldi, docente presso la Link Campus University di Roma, l’Università statale G. D’Annunzio di Chieti-Pescara e fedelissimo allievo-discepolo del Prof. Paolo Savona 

Professor Rinaldi, lei e il suo maestro Paolo Savona siete molto critici nei confronti delle politiche di austerity e fiscali adottate dal governo Monti – in accordo con i dettami europei - per affrontare la crisi italiana e internazionale.

“Esatto, e le spiego subito il mio punto di vista: l’esclusivo e repentino ricorso alle imposte per il risanamento dei conti pubblici ha determinato l’inevitabile contrazione dei consumi e degli investimenti. Il risultato è stato quello di far precipitare il nostro Paese, e la quasi totalità dell’eurozona, in una recessione senza precedenti con la conseguenza inevitabile di mettere in ginocchio le famiglie e le imprese: tutto questo in nome di un rigore voluto in nome e per conto di un’Europa in cui la stragrande maggioranza dei cittadini, non solo italiani, inizia a non riconoscersi più. Un’Europa sensibile oramai solo quando si tratta di correre in soccorso del sistema finanziario - devastato sin dal 2008 dallo tzunami proveniente da oltre oceano – e al contrario sordo e cieco nei confronti dei cardini su cui i Padri fondatori l’hanno concepita: il benessere delle famiglie e la prosperità delle imprese. Questa è ormai è la semplice e drammatica equazione a cui ci stiamo ormai rassegnando!”.


Ma è possibile formulare una ricetta per uscire da questo circolo vizioso, che rischia di modificare in modo irreversibile le conquiste che l’Italia è riuscita a raggiungere con enormi sacrifici e che l’hanno portata ai vertici fra le potenze industriali? 
“Ormai tutti si sono resi conto che l’impostazione delle regole europee, e in particolare quelle che ci legano alla coesione monetaria, sono state scritte esclusivamente prendendo a riferimento le fobie-liturgie celebrate con rito ortodosso-tedesco: questo euro così architettato e gestito fa esclusivamente il gioco della Germania e provoca un duplice effetto combinato: da una parte rafforzando l’economia tedesca, dall’altra deprimendo contestualmente e in egual misura quelle di tutti gli altri Paesi membri”.


Voi sottolineate spesso come siano “i numeri” a confermare questa tesi…

“Certamente: aggiungerei che proprio per questo motivo la nostra non è una tesi, ma una constatazione della realtà che ci circonda. La prova più evidente di ciò è nel constatare che negli ultimi anni la bilancia commerciale tedesca ha accumulato un surplus pari alla somma dei deficit di tutte le altre bilance commerciali dei paesi eurodotati. Questo significa che per la Germania l’euro è una valuta sottovalutata e per tutti gli altri è invece sopravvalutata. Se idealmente ci fossero le valute nazionali, per acquistare un marco ci vorrebbero non meno di 1,80 dollari e non, come ora, 1,30 contro euro; mentre invece sarebbero sufficienti non più di 0,90 dollari per una ipotetica nuova lira “pesante”, cioè con tre zeri in meno di come l’abbiamo lasciata. In poche parole, una Golf costerebbe in Italia come una Maserati! Pensate che contraccolpi per l’economia tedesca visto che, nonostante tutto, siamo ancora la seconda impresa manifatturiera dell’eurozona. Anzi, lascio a voi immaginare che putiferio si scatenerebbe se si proponesse anche di ricambiare la discutibile decisione, presa nell’estate scorsa dalla Deutsche Bank, di vendere i titoli del debito pubblico italiano detenuti nel proprio portafoglio - facendo precipitare le quotazioni degli stessi e innalzando lo spread a livelli mai prima raggiunti -, invitando gli italiani a non acquistare più prodotti tedeschi a favore di quelli nazionali”.


Sembra quindi di cogliere una forte critica alla struttura dell’Euro e delle politiche europee nelle sue parole.

“Non potrebbe essere diversamente perché, ripeto, si tratta solo di leggere i numeri e di trarre delle conclusioni logiche.  Questo impianto di moneta unica, che all’atto pratico si è rivelato essere solamente un accordo di cambi fissi, rischia di condannare molte delle sue economie al destino che fu dell’Argentina - che impunemente si legò al dollaro americano senza però averne il controllo; e consente alla Germania di finanziarsi a tassi pari a un terzo, se non un quarto, rispetto agli altri. Le nostre aziende vengono estraniate dalla competitività perché costrette a ridurre i loro saggi di profitto e le risorse destinate agli investimenti, visto che il loro accesso al credito  - quando riescono a ottenerlo – ha un costo nettamente superiore alla concorrenza.  Ma nessuno fa assolutamente nulla per bilanciare lo squilibrio o trovare almeno qualche forma che ne attenui l’originario, macroscopico errore”.


Di quale errore stiamo parlando?

“Dell’aver costruito l’area monetaria europea come un’area economica con prospettive esclusivamente di crescita, non prevedendo che potesse essere soggetta a cicli di rallentamento se non addirittura a recessioni. I parametri di riferimento su cui si basa tutta l’architettura della moneta unica contemplano poi esclusivamente il valore del debito pubblico e del PIL e non altri importantissimi parametri, come ad esempio i debiti detenuti dalle famiglie o dalle imprese e la ricchezza del Paese.  Se così fosse stato, il nostro sarebbe fra i più virtuosi, potendo annoverare, a compensazione di un rapporto debito/PIL storicamente sfavorevole, rapporti debito privato/PIL e debito imprese/PIL fra i più bassi in Europa. Invece i vari governi europei sono costretti a mantenere alta la pressione fiscale pur d’inseguire i parametri imposti dal Patto di Stabilità, e questo innesca ancora più recessione.
Bisogna “spezzare” questo circolo “svirtuoso” altrimenti non è possibile venir fuori da questa crisi finanziaria che passerà alla storia come la più violenta dopo quella del ’29.  Ma non è tutto: si ha anche la sgradevole sensazione che si sia sviluppato e abbia preso il sopravvento, nelle istituzioni comunitarie, una specie di mostro bio-giuridico-economico, che cammina con gambe proprie e che va esattamente nella direzione opposta alle esigenze ed alle aspettative della stragrande maggioranza dei cittadini europei. E pare che nessuno abbia la capacità, la lungimiranza e il buon senso di staccare la spina per effettuare un salutare e opportuno “reset” che riavvicini l’Europa all’Europa. È notizia proprio di questi giorni che le autorità bancarie europee hanno attenuato e posticipato i draconiani dettami previsti dagli accordi di Basilea 3, che avrebbero ulteriormente ridotto l’accesso al credito. Non si capisce come mai non si abbia la stessa volontà e solerzia nell’avviare un processo di revisione delle regole e dei meccanismi previsti per la coesione monetaria, principali responsabili dell’attuale situazione di crisi”.


In questi mesi, dopo la caduta del governo Berlusconi, si è parlato molto della necessità di ridurre il debito per riportarlo verso i parametri stabiliti dall’Unione Europea. E di attuare politiche che alcuni definiscono “virtuose”, ma che non sembrano aver portato risultati positivi. Lei che ne pensa? 

“Penso che non abbia alcun senso infliggere pesanti sacrifici alla nazione per inseguire numeri e parametri fini a se stessi, che hanno portato solo ed esclusivamente all’implosione di ogni comparto dell’economia e degli equilibri sociali raggiunti.  E poi tutto questo rigore cosa ha prodotto? Non certo gli obiettivi sperati, visto ad esempio, che al 31 dicembre del 2011 il debito pubblico italiano ammontava a 1897,8 Mld di euro (dati ufficiali Banca d’Italia) e nonostante IMU, i tagli lineari adottati dalla spending review e una serie interminabile di aumenti ed imposizioni fiscali, siamo arrivati a fine ottobre ad aver infranto il muro fatidico dei 2000 Mld, per l’esattezza 2014,7!”.


Quindi non ci sono stati gli effetti benefici sul debito che ci si sarebbe potuti aspettare?

Al contrario nei primi dieci mesi del 2012 è aumentato, come mai nella nostra storia, di ben 116,9 Mld, alla faccia del tanto sbandierato pareggio di bilancio e del rigore a tutti i costi (in tutto il 2011 l’incremento è stato di 55Mld, e un Premier democraticamente eletto è stato destituito in quattro e quattr’otto per essere stato accusato di “disastro finanziario”!). E tutto questo è avvenuto non certo per l’aumento dello spread: nell’anno appena passato il sostentamento del debito ci è costato, in termini di interessi, “solamente” 3,5/4 Mld di euro in più rispetto al 2011. Altri effetti collaterali a questa scelta di rigore a senso unico sono stati la caduta libera del PIL, che viene accreditato, anche a livello di istituzioni internazionali, a un meno 2,5% e l’impennata del tasso di disoccupazione ormai superiore all’11%.
Mi chiedo quindi perché mai si sia scelto ciecamente di abbracciare il dogma teutonico del contenimento dell’inflazione a tutti i costi con politiche deflazionistiche che ricordano molto da vicino la Repubblica di Weimar! Fra il “male inflazione” e il “male disoccupazione” noi abbiamo sempre in passato preferito il primo, il che mi pare logico!, avendo costruito il nostro modello di crescita con questa elementare filosofia non solo economica. E poi il caso Giappone la dice lunga: con un rapporto debito/PIL prossimo al 240%, possono permettersi il lusso di emettere i “loro” BTP decennali di riferimento al tasso del 0,85%, praticamente la metà di quelli tedeschi. Tutto questo non solo perché il 95% del debito è in mano ai giapponesi, ma anche perché hanno una Banca Centrale a tutti gli effetti che supporta, stampando, le esigenze di finanziamento del Tesoro e non una Banca Centrale “part-time” come quella che governa l’euro.”


Il suo maestro prof. Savona è stato il primo, ed in tempi non sospetti, a sollevare la questione del “Piano B”, cioè la possibilità dell’uscita dell’Italia dall’euro. Lei pensa che sia una opzione possibile?

È vero, il prof. Savona è stato il primo a rompere il tabù sull’opportunità che l’Italia si dotasse di un piano particolareggiato, per l’appunto il Piano B, nel caso fossimo costretti a uscire dall’unione monetaria. Ma questo non significava, nelle intenzioni del professore, di ritornare comunque alla lira! Come esistono dettagliati piani militari a garanzia dell’integrità e salvaguardia del territorio nazionale in caso di pericolo, e che speriamo non siano mai resi esecutivi, così è necessario, anzi lo auspichiamo, che siano stati predisposti anche dei dettagliatissimi piani su come uscire dall’euro in modo composto.
Questo per non essere presi alla sprovvista e attenuare gli eventuali disagi in caso ne fossimo costretti, mettendo in atto un piano predisposto in casa invece di un altro eventualmente messo a punto altrove! A riguardo sono personalmente convinto che, sin dal momento della firma dei Trattati che hanno concepito la moneta unica, siano stati siglati a latere anche dei “patti segreti” che regolavano nei dettagli  l’uscita di qualche membro. Non dimentichiamo il ruolo svolto dalla sottile e raffinata diplomazia francese e dalla pragmatica diffidenza propria dei tedeschi… e come ogni buon trattato internazionale che si rispetti, tutte le opzioni saranno state sicuramente prese in considerazione e codificate! Comunque credo, allo stato attuale, che l’euro rimarrà e che ci siano in futuro molte più probabilità che ne esca la Germania piuttosto che l’Italia! Per ora, da europeisti convinti, ci piace lavorare per il “Piano A”, cioè per poterci rimanere, ma a testa alta!”


Cosa possiamo fare allora per poter rialzare la testa?  

“Molte sono le cose che si possono fare. Avviare, ad esempio, una realistica e credibile cessione di asset di patrimonio pubblico per una riduzione straordinaria del debito pubblico per un importo almeno fino a 400 Mld, e non affidarsi a quella messa a punto dall’attuale ministro dell’economia ancora in carica, che prevede nella sua ultima configurazione, cessioni esclusivamente di immobili per non più di 3/5 Mld all’anno. Va ricordato, conti alla mano, che nel solo mese di ottobre dello scorso anno  il nostro debito è cresciuto di ben 19,6 Mld e credo francamente che cessioni di tale entità siano risibili! Il mio consiglio è quello di attuare “chiavi in mano” la fattibilissima ed equa proposta avanzata nella primavera scorsa dal Prof. Paolo Savona e da me per ridurre seriamente e sistematicamente il nostro debito a livello degli altri partner, senza gravare per un centesimo sulle tasche degli italiani per mezzo della vendita posticipata dei beni disponibili e non strategici posseduti dallo Stato, sia a livello centrale che periferico, e che contestualmente riesce ad attivare meccanismi di crescita. Abbiamo disperatamente bisogno non solo di diminuire l’entità del debito, ma anche di aumentare il PIL, cioè la crescita! L’operazione consentirebbe, fra l’altro, di risparmiare non meno di 30Mld annui d’interessi (pari al gettito IMU e al congelamento del previsto aumento dell’IVA) da destinare al rilancio dell’economia e alla reale diminuzione della pressione fiscale a carico delle famiglie e delle imprese. Tali risparmi annuali consentirebbero fra l’altro la possibilità di rendere attuabili, sostenibili e credibili tutta una serie di sgravi e incentivi.  Invece si continua a proporre vendite dirette, i cui modesti ricavi si perdono nelle pieghe delle partite correnti del bilancio dello Stato senza produrre nessun effetto. Piccola considerazione sull’IMU: è vero che in quasi tutti i Paesi esiste una tassazione sulla casa, ma spesso si tralascia di considerare che l’Italia è l’unico le cui famiglie sono all’85% proprietarie della casa in cui abitano, contro il 55% di quelle francesi e 43% di quelle tedesche e che, pertanto, in nessun’altra parte del mondo una tassazione sugli immobili genera un prelievo così elevato a carico della collettività!!!”


Mi sembra che lei nutra forti dubbi anche su altri decreti di prossima attuazione…

“È inevitabile. Bisogna infatti tenere conto che è stata innescata un’altra “bomba ad orologeria”: l’attuazione dei dettami previsti dal Fiscal Compact, approvato in via definitiva nel dicembre scorso, per noi significherà per i prossimi 20 anni la diminuzione di 70 punti percentuali dell’eccedenza del rapporto debito pubblico/PIL, previsto come massimo nel 60% dall’ormai obsoleto Trattato di Maastricht, visto che ormai veleggiamo intorno al 130%. Ciò ci costringerà a reperire ogni anno risorse aggiuntive per più di 50 Mld di euro!!! Da dove si pensa di prendere questi ulteriori soldi? Sarebbe il caso invece di prendere in grande considerazione le deduzioni a cui è giunto il Prof. Giuseppe Guarino sull’inapplicabilità e nullità di tale accordo. Pensate che anche in Germania stanno valutando seriamente le sue argomentazioni, visto che, a ragione, è considerato anche da quelle parti uno dei più grandi giuristi di Eurolandia. È possibile che prima d’ora nessuno si fosse accorto che era stato modificato - di fatto ed illegittimamente - il parametro del Trattato di Maastricht sul deficit, portandolo a zero e cancellando la tolleranza del 3% sul debito?”.


Professor Rinaldi, se lei dovesse illustrare i punti cardine da cui ripartire per superare questa grave fase recessiva, che oltretutto sembra peggiorare progressivamente, quali sarebbero le principali priorità?

“Premesso che qualsiasi programma di politica economica tesa a invertire l’attuale trend negativo che ci sta inesorabilmente conducendo verso un irreversibile declino, deve necessariamente essere subordinato a una condivisa revisione dei Trattati e dei regolamenti che tengano conto delle mutate realtà macroeconomiche, cerchiamo di delineare degli interventi, opportuni e realistici, da rendere  immediatamente esecutivi:
a)    Conferire alla BCE lo stesso mandato delle altre Banche Centrali mondiali ed in particolare a quello della Federal Reserve;
b)    Modificare i parametri previsti dal Patto di Stabilità, inserendo anche quelli relativi ai debiti delle imprese, delle famiglie e al patrimonio (ricchezza) a disposizione del paese;
c)    Avviare immediatamente cessioni di asset pubblici finalizzati alla riduzione del debito pubblico adottando integralmente la proposta del prof. Paolo Savona;
d)    Proporre (ed ottenere) dalla BCE, l’emissione di cartelle fondiarie a tassi estremamente bassi, con operazioni simili, per tecnicità e volumi, a quelle effettuate e conosciute come LTRO  (long term refinancing operation), al fine di reperire la liquidità finalizzata allo sviluppo delle infrastrutture ed al rilancio del settore immobiliare pubblico e privato. Come la BCE si è prontamente attivata per fornire liquidità al sistema bancario in crisi, intervenga con gli stessi strumenti e mezzi a supporto dell’economia reale a cui possano effettivamente beneficiare sia le imprese che i privati cittadini. E’ noto che il comparto immobiliare e delle grandi opere rappresenta un segmento trainante in qualsiasi economia evoluta, e l’immissione di risorse finanziarie rappresenta un formidabile moltiplicatore alla crescita;
e)    Consentire sempre alla BCE di “scontare” immediatamente ed a tassi bassissimi il debito regresso delle pubbliche amministrazioni contratto verso il sistema delle imprese italiane, attualmente valutato in più di 90 Mld di euro, e che contribuirebbe da subito a ridare ossigeno ad ogni comparto dell’economia;
f)    Riformare il costo del lavoro al fine di uniformare lo stesso a quello delle altre economie europee di riferimento;
g)    Definire immediatamente sgravi fiscali ed incentivi alle aziende esportatrici con l’estensione di tali benefici anche alle aziende che riportano il loro ciclo produttivo in Italia;
h)    Rilancio dell’industria agricola italiana. Revisione radicale delle politiche agricole comunitarie troppo sbilanciate a nostro sfavore che attualmente prevedono, nell’ambito del bilancio comunitario agricolo, il ritorno di soli 0,78 cent. a fronte di ogni euro versato dall’Italia. La Francia e la Spagna, principali nostri competitors settoriali, invertono questo rapporto in loro favore in ragione di 1,35 euro per ogni euro versato!;
i)    Rilancio dell’industria del turismo, promuovendo la costruzione e la razionalizzazione delle strutture esistenti e con nuove infrastrutture che ne esaltino la fruibilità;
j)    Valorizzazione dell’immenso ed unico patrimonio artistico e culturale che pongono il “Bel Paese” ai vertici mondiali con il possesso del 70% dell’intero mondiale. Lo sviluppo di una propria ed effettiva “industria” del settore consentirebbe la creazione diretta ed indotta di centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro anche con la partecipazione di soggetti privati così come consolidato già da tempo in altri paesi;
k)    Interrompere il clima di “caccia alle streghe” che le varie amministrazioni finanziarie pubbliche hanno instaurato in modo sistematico e persecutorio con l’effetto di terrorizzare e demonizzare consumi e spesa;
l)    Procedere ad una “deregulation” delle procedure burocratiche in ogni settore della vita produttiva ed amministrativa, con l’inversione del rapporto stato-cittadino introducendo la regola del silenzio-assenso;
m)    Costituzione di tre specifici fondi: uno per assicurare a chi ha contratto un mutuo per l’acquisto della propria abitazione ed ha perso il lavoro, la garanzia del pagamento di un certo numero di rate per non perdere i diritti acquisiti, il secondo per consentire di erogare tassi agevolati ai giovani sposi che contraggono un mutuo per l’acquisto della casa, il terzo per la consentire l’accesso facilitato al credito alle società costituite dai giovani sotto i 30, che unitamente a sgravi fiscali per i primi anni di attività, consentirebbe di fornire i mezzi finanziari necessari per l’avviamento e l’esercizio d’impresa;
n)    Agevolazioni fiscali, come ad esempio il riconoscimento di un maggior credito d’imposta, ai possessori di titoli esteri che li convertono volontariamente in titoli del debito pubblico italiano. Attualmente si valuta che i soggetti residenti detengano circa il controvalore di 450 Mld di euro in titoli emessi da soggetti esteri e l’incentivazione a concambiarli in titoli pubblici italiani, possa produrre non solo una sensibile diminuzione dei tassi, ma anche una sensibile diminuzione dalla speculazione internazionale;
o)    Riorganizzazione dei compiti, mansioni e poteri sanzionatori delle varie Autority già esistenti, con il preciso scopo di rendere la loro funzione finalizzata all’effettiva efficienza dei mercati;
p)    Chiedere formalmente (con il pieno gradimento e l’appoggio di Spagna, Portogallo, Grecia, Austria, Irlanda, Malta, Estonia, Slovacchia, Slovenia, Cipro) l’immediata stampa ed immissione in circolazione delle banconote da 1 e 2 euro, correggendo anche se tardivamente, l’enorme errore psicologico commesso all’atto dell’introduzione della moneta unica. In alternativa, far emettere dal Tesoro italiano “biglietti di Stato” a corso legale, così come fu fatto nel 1975 per sopperire alla carenza dei biglietti da 500 lire non più stampati dalla Banca d’Italia. Sarebbe un provvedimento che riporterebbe il giusto metro di valutazione del denaro.”
Gran parte di queste proposte, che considero “bipartisan”, dovrebbero essere rese esecutive entro i primi 100 giorni da parte del futuro governo della prossima legislatura. Contribuirebbero a dare una seria “sferzata” alle sorti del nostro, nonostante tutto, meraviglioso ed unico Paese!


Paolo Cagnoni

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