sabato 16 febbraio 2013

L'Approfondimento: Morire per Danzica? Di Antonio Maria Rinaldi


L'Approfondimento: Morire per Danzica?

 Di Antonio Maria Rinaldi

L'intervento del docente presso la Link Campus University di Roma,

 l'Università statale G. D'Annunzio di Chieti-Pescara e allievo del 

Prof. Paolo Savona

Rinaldi
Le politiche di austerity del governo Monti, prone al volere della “Troika” formata da Fmi-Bce-Ue (con la benedizione della Germania), si sono rivelate – come peraltro era logico e prevedibile - fallimentari.
Non è un’opinione, sono i numeri a testimoniarlo. Dall’aumento del debito pubblico al crollo dei consumi, dalla pressione fiscale intollerabile alla crisi delle Pmi, dalla disoccupazione (specie quella giovanile) in costante aumento ai preoccupanti scricchiolii che investono il settore immobiliare, seguiti all’introduzione dell’Imu, l’Italia si è scoperta all’improvviso più povera, stanca, spaventata e priva di prospettiva.

In questo quadro, alcuni economisti appartenenti a diverse scuole di pensiero, ma concordi nel denunciare le conseguenze nefaste e recessive dell’austerity, hanno elaborato strategie alternative per aiutare il Paese a risollevarsi e superare la crisi che lo attanaglia. Abbiamo quindi deciso di dar loro spazio e di intervistarli per farci spiegare sia quali errori sono stati commessi sino a oggi, sia quali sono le loro proposte per risollevare le sorti del Paese. Le risposte abbracciano le politiche monetarie, fiscali, industriali, gli equilibri (e gli squilibri) che si sono venuti a creare fra le nazioni europee con l’introduzione dell’Euro, la necessità di rivedere i trattati europei e molte altre voci.

Il dibattito, è giusto sottolinearlo, è “apolitico”: in questo spazio raccoglieremo interventi di professionisti ed esperti che hanno convinzioni e percorsi personali di stampo differente, ma sono uniti dalla convinzione che ciò che è assolutamente necessario e urgente, oggi, è rimettere in moto l’economia e fermare la frana che rischia di seppellire l’Italia.

Ti proponiamo l’intervento del Prof. Antonio Maria Rinaldi, docente presso la Link Campus University di Roma, l’Università statale G. D’Annunzio di Chieti-Pescara e fedelissimo allievo-discepolo del Prof. Paolo Savona
Il confronto elettorale sta entrando nella sua fase cruciale e le promesse di riduzione delle tasse la fanno da padrona. Un posto in prima fila se l’è conquistata a pieno titolo l’IMU essendo a ragione, la tassa più iniqua e odiata avendo colpito, indistintamente e linearmente, soprattutto le famiglie che nell’85% dei casi in Italia possiedono la casa dove abitano. Lo stesso Monti, che fino ad un mese fa sentenziava che chi ne prometteva l’abolizione avrebbe costretto al successore a reintrodurla di corsa e per il doppio, come nella migliore tradizione elettorale, si è affrettato a correggere il tiro per un suo radicale ammorbidimento e con la promessa aggiuntiva di una diminuzione delle aliquote IRPEF e ILOR, senza specificarne tuttavia la relativa copertura finanziaria.

   Anche l’idea condivisa da parte di tutta la sinistra di affidare ad una non specificata patrimoniale la ricetta principe per uscire dalla crisi, sta perdendo sempre più sostenitori, forse perché hanno capito con ritardo anche loro che proprio l’IMU è già una patrimoniale da manuale e le nuove proposte di politica economica per risollevare il paese, non si combattono sul fronte di chi e del come si dovranno pagare nuove tasse. Anche perché abbiamo visto poi alla fine dove vanno a finire…

   Pertanto l’esclusivo ricorso al prelievo fiscale e al metodo lineare adottato per i tagli alla spesa che hanno messo in ginocchio il sistema delle imprese e la dignità stessa delle famiglie, costrette rispettivamente a chiudere i battenti e ad erodere i risparmi pur di sopravvivere, non è un argomento di moda almeno fino al 25 febbraio sera prossimo. Abbiamo tristemente constatato che nell’ultimo anno tutti i dati macroeconomici sono in caduta libera, riportando le lancette indietro di 25 anni ed infrangendo il sogno di una Europa portatrice di un futuro migliore per tutti. 

   Lo stesso F.M.I. ha fatto il mea culpa, ammettendo ufficialmente che tutti i modelli di previsione econometrica adottati dall’Unione Europea e dagli organismi economici internazionali non erano corretti, avendo sottovalutato fra l’altro l’effetto del cosiddetto “moltiplicatore fiscale”. Per decenni si è pensato che per ogni punto di pressione fiscale aggiuntivo corrispondesse solamente non più di mezzo punto di decremento della crescita, mentre l’attuale pressante ricorso al drenaggio fiscale ha dimostrato inequivocabilmente che il reale rapporto era più che invertito! Ecco finalmente spiegato anche tecnicamente ciò che la stragrande maggioranza dei cittadini aveva ampiamente intuito da molto tempo sulla propria pelle e a dispetto delle teorie portate a supporto.

   Chi pensava e purtroppo pensa ancora, anche se pubblicamente afferma il contrario, che sia sufficiente semplicemente aumentare l’imposizione fiscale per soddisfare il rigore imposto essenzialmente dalla governance europea, targata Germania come mai, senza creare recessione, ha miseramente fallito, facendo precipitare il Paese e tutta Eurolandia nella crisi più profonda degli ultimi 60 anni. Contestare l’egemonia della Germania che ha monopolizzato gli indirizzi di politica economica dell’Unione imponendo regole di rigore, non significa pertanto essere contro l’Europa, ma cercare solamente di riportare il giusto equilibrio e lo spirito di condivisione tanto auspicato dai Padri fondatori. Tutti, e noi italiani per primi, sentiamo ancora fortemente l’esigenza di un disegno d’Europa, ma per questo però non siamo disposti, a tutti i costi, a morire per Danzica! E’ arrivato il momento di puntare i piedi perché in ballo vi è la nostra identità e quella delle nostre generazioni future e dobbiamo essere disposti anche a mettere sul tavolo delle estreme opzioni la possibilità di compiere scelte dolorose pur di ottenere le nostre giuste ragioni. Alludo, senza giri di parole, all’eventualità di rendere esecutivo anche il famoso “Piano B” e di tornare conseguentemente alla piena sovranità nelle scelte economiche se verranno disattese le nostre istanze in sede comunitaria. Chi pensa che questi ragionamenti siano solamente delle eresie tanto da definirle “battute da due soldi”, non si rende conto che proprio per essere stati sempre supini alle scelte altrui ci ritroviamo in queste condizioni! L’attuale crisi finanziaria ha radicalmente modificato i sottili equilibri dell’impianto monetario europeo ed ostinarsi a non voler ammettere che sia necessaria una radicale revisione, equivale a schierarsi come principale nemico dell’Europa stessa!     

   Noi italiani non ci siamo mai tirati indietro quando ci è stato chiesto di fare dei sacrifici per entrare a pieno titolo in Europa, e coscientemente il biglietto lo abbiamo pagato per la sola andata, ma oggi non ci riconosciamo più in questo modello di Europa che ha utilizzato le imprese e le famiglie come unici contribuenti per risanare le malefatte del sistema finanziario. E’ assolutamente necessario ed urgente pertanto invertire questa errata visione di politica economica che produce un effetto di avvitamento dei consumi e della crescita, puntando invece sull’espansione come unico obiettivo in grado di risolvere gran parte dei problemi che affliggono in nostro bel Paese e dell’euro-zona, perché il rischio concreto è proprio l’euro-estinzione per tutti. Nella letteratura e nella stessa convinzione nord-popolare europea questa visione economica teutonica è giustificata dal fatto che è ancora viva nell’emotività di quel paese gli effetti devastanti della iperinflazione ai tempi della Repubblica di Weimar, mentre la verità risiede nel fatto che da questo status quo la Germania è la nazione che se ne è avvantaggiata di più! Sia i tassi bassi che il rapporto di cambio dell’euro di cui godono, risultano a loro ottimali grazie alla debolezza degli altri partners. Anzi, viene il più che ragionevole dubbio, che alla Germania non dispiaccia troppo che gli altri paesi non se la passino molto bene e che gli aiuti tanto sbandierati a supporto della mutualità sostenuti e mal digeriti dai concittadini di Frau Angela, siano il prezzo tutto sommato più che accettabile rispetto agli immensi vantaggi acquisiti ad iniziare dall’enorme surplus commerciale accumulato, grazie proprio al perdurare di queste condizioni e che sarebbero stati impossibili realizzarli altrimenti. Come sarebbe il caso di ricordare più spesso a qualche arrogante politico tedesco e alla maggioranza dell’opinione pubblica con la memoria corta, quanto fece tutta l’Europa a loro sostegno ai tempi della riunificazione…

   Ma è possibile “spezzare” questo circolo vizioso che ci sta condannando inesorabilmente ad un destino di declino? E’ possibile immaginare scenari alternativi che ci ripropongano come protagonisti e che consentano di fermare il costante depauperamento del nostro tessuto economico? Anche perché le centinaia di migliaia di aziende che gettano definitivamente la spugna, perché costrette a chiudere, hanno alle spalle storie di decenni e decenni di vita e prima di ricrearne altre e renderle competitive sono necessari altrettanti anni. Un po’ come quando un violento incendio distrugge una foresta centenaria: per rivederla rigogliosa bisogna attendere pazientemente moltissimo tempo.   

   Ma affinchè questo possa essere realizzato è necessario che vengano soddisfatte almeno due condizioni: una radicale modifica delle “regole del gioco” nella conduzione della coesione monetaria, ad iniziare dalle attribuzioni della BCE e dalla revisione del “Fiscal Compact” e la messa a disposizione di ingenti risorse finanziarie a supporto delle imprese e delle famiglie. La prima condizione si concretizza con l’attribuzione immediata alla Banca Centrale Europea dello stesso mandato di cui gode la Federal Reserve,  e che preveda non solo la possibilità di finanziamento illimitato agli stati membri per evitare che i propri tassi raggiungano livelli insostenibili e indesiderati, ma che possa determinare autonomamente anche il tasso di cambio dell’euro con le altre valute e non, come avviene ora, esclusivamente dal mercato. Parimenti è indispensabile la ridefinizione immediata degli effetti previsti dal Fiscal Compact, i quali non sono compatibili con la stragrande maggioranza delle economie europee e che costituiscono un ulteriore freno alla crescita in quanto impongono vincoli di bilancio realizzabili solo con ulteriore ricorso alla fiscalità.

   La seconda condizione è che il nostro Paese riesca a reperire risorse da immettere nel circuito della crescita con operazioni di finanza straordinaria credibile, sostenibile e con criteri di sistematicità. Una proposta, messa a punto proprio da un gruppo di economisti, coordinata dal battagliero Renato Brunetta e fatta propria dal PdL nel corso dell’estate scorsa, prevede la vendita posticipata di porzioni disponibili di beni ed asset di proprietà dello Stato, con un meccanismo che contestualmente abbatte quote di debito pubblico, fin sotto la soglia del 100% del Pil, attivando inoltre forti stimoli alla crescita e all’occupazione. Questo consentirebbe al nostro Paese la possibilità di liberare ingentissime risorse da mettere a disposizione per la reale diminuzione progressiva dell’intero carico fiscale a carico del sistema delle imprese e delle famiglie, IMU sulla prima casa ed IVA compresi, e la possibilità di rendere finanziariamente attuabili e sostenibili tutte le riforme strutturali necessarie, ad iniziare da quella del lavoro, per il pieno rilancio dell’Azienda Italia. Naturalmente per il successo dell’operazione deve essere prevista un’oculata revisione di ogni comparto della spesa pubblica, con criteri di priorità ed equità, per non “annacquare” e rendere vani gli sforzi per il rientro del debito. Nell’immediato ed a supporto di queste imprescindibili condizioni, lo Stato si deve impegnare ad onorare anche gli impegni di pagamento con il sistema delle imprese contratti sia a livello centrale che periferico, con il meccanismo suggerito da Guido Salerno-Aletta, che sostanzialmente prevede il supporto della BCE nel fornire la liquidità al sistema bancario al tasso ufficiale di sconto per anticiparne il pagamento, quantificato attualmente in 90 Mld di euro. In questo modo affluirebbero finalmente mezzi nelle asfittiche casse delle centinaia di migliaia di aziende in crisi di liquidità e che rischiano il fallimento non potendo compensare con l’accesso al credito ordinario quanto dovuto dallo Stato.

   Credo fermamente che queste siano le corrette vie economiche da seguire per il bene supremo del Paese e per poter salvaguardare il percorso intrapreso nella casa comune chiamata Europa!   

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