venerdì 23 novembre 2012

“Noi siamo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo, perchè siam divisi”.


Dal Manifesto di PATRIA LAVORO E LIBERTA', movimento politico fondato dall'on.Giulio Tremonti, continuiamo la pubblicazione del testo della prima parte



§ 1. “Noi siamo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo,

                                      perchè siam divisi”.

Ora come allora, oggi come centocinquanta anni fa nell’inno d’Italia, sono in gioco la nostra sovranità nazionale e, con questa, la nostra personale dignità, la nostra libertà, la nostra proprietà.Insieme con la sovranità nazionale, si stanno infatti erodendo i margini tanto della nostra democrazia, quanto della nostra economia.Per cominciare vediamo le due prime questioni: la questione della sovranità nazionale, la questione della democrazia.Oggi, come allora, l’Italia rischia di diventare un paese che scivola nell’irrilevanza internazionale, o peggio. Perchè peggio?All’estero ora siamo certo particolarmente presenti nelle “foto di famiglia”, ma a vedere bene, a sentir bene tutto quello che sinceramente si dice all’estero, questo è proprio e solo perché siamo sentiti come un pericolo da vigilare, come un caso da8commissariare!E’ per questo, e solo per questo, non in positivo ma in negativo, che siamo tornati al centro della scena!Di riflesso, per questo, oltre l’apparenza della propaganda,l’Italia si presenta come un paese candidato a scendere nelle graduatorie internazionali. A scendere fino ad acquisire lo “status” tipico dei paesi a sovranità limitata.Un paese in cui l’unica forma di voto ammessa è perciò costituita solo dal voto utile.Un paese in cui il voto è utile solo come forma di vincolante sottoscrizione di un’“agenda” scritta all’estero, in teoria per salvarci, in concreto per colonizzarci.Senza neppure salvare le apparenze, perché dal mercato finero, questo è proprio e solo perché siamo sentiti come un pericolo da vigilare, come un caso dacommissariare!
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E’ per questo, e solo per questo, non in positivo ma in negativo, che siamo tornati al centro della scena!
Di riflesso, per questo, oltre l’apparenza della propaganda,l’Italia si presenta come un paese candidato a scendere nelle graduatorie internazionali. A scendere fino ad acquisire lo “status” tipico dei paesi a sovranità limitata.
Un paese in cui l’unica forma di voto ammessa è perciò costituita solo dal voto utile.
Un paese in cui il voto è utile solo come forma di vincolante sottoscrizione di un’“agenda” scritta all’estero, in teoria per salvarci, in concreto per colonizzarci.
Senza neppure salvare le apparenze, perché dal mercato finanziario siamo stati fatti precipitare in un permanente “stato d’eccezione”.
Lo stato d’eccezione finanziaria essendo per l’Italia ormai divenuto il sostituto moderno della vecchia “ragion di Stato”.
E’ così che poteri esterni ruotano la manopola del volume della paura, facendone salire o scendere il diagramma, secondo i casi, secondo come ci comportiamo, bene o male, a loro giudizio.
La paura di rischiare su tutto, di perdere tutto, dal lavoro al risparmio.
E poi la questione dell’economia.
E’ sempre più forte per l’Italia il rischio della colonizzazione.
Colonizzazione tanto da parte del mercato finanziario, che specula sull’Italia, quanto da parte di altri Stati, di altre economie, che giorno dopo giorno si stanno rivelando capaci di sfruttare per il loro vantaggio economico la nostra attuale e sfortunata debolezza.
In Italia ci martellano con dosi di grottesco ottimismo: l’Italia attacca, l’Italia avanza…. goal della Germania!
Guardiamo la realtà, stiamo ai fatti.
“Prodotto interno lordo: peggio della prima guerra mondiale. L’Italia è nel pieno della peggiore recessione economica in tempo di pace. I danni sono talmente profondi che non è improprio raffrontarli con quelli conseguenti alle due guerre mondiali, cioè agli
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eventi più drammatici della storia recente.
Fino ad oggi le conseguenze della crisi sul prodotto interno lordo italiano risultano di entità superiore a quella degli effetti della prima guerra mondiale” (così, testualmente, lo Scenario economico del Centro studi di Confindustria, settembre 2012).
Le guerre, le battaglie non si vincono, se prima non si capisce di esserci dentro!
Guardando lo stesso scenario, usando lo stesso linguaggio, si può dire che, sotto il doppio attacco della speculazione finanziaria e della competizione economica internazionale, l’Italia è davvero entrata nel pieno di una strana guerra, una guerra di tipo nuovo, per fortuna, più banale, non violenta, più «civile», rispetto alle guerre del passato.
Ma pur sempre una guerra: “Forse non più come nel 1939-1945, ma si può fare la guerra usando la leva dell’economia!” (così Delors, 2011; Tremonti, La guerra «civile», 1996).
E’ così che stiamo arretrando sulla “Linea del Piave”!
Dalla “Linea del Piave” non vogliamo, non possiamo, non dobbiamo arretrare.
All’opposto, vogliamo, possiamo e dobbiamo tornare ad essere “padroni a casa nostra”.
Lo dobbiamo al nostro passato ed al nostro futuro, lo dobbiamo a noi stessi ed ai nostri figli: al nostro orgoglio, al loro futuro.
Vogliamo, possiamo, dobbiamo difendere il nostro lavoro e le nostre imprese, il nostro risparmio, la nostra libera economia di mercato.
Soprattutto vogliamo, possiamo, dobbiamo difendere il nostro grande paese per continuare a viverci in sicurezza,in democrazia, in libertà.

§ 2. La democrazia e la sicurezza.

Cominciamo da qui, perché la democrazia e la sicurezza sono la base di tutto.
Se uno pensa che, essendoci la crisi, si può o si deve fare a meno dell’una o dell’altra, o di tutte e due insieme, tanto della democrazia quanto della sicurezza, si sbaglia di grosso e soprattutto si fa male e ci fa male.
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La democrazia è la base di tutto, perché è solo con la forza della democrazia, e non con lo “spread”, con la forza della repressione, fisica o mentale che questo produce, che si può evitare il caos.
E poi la sicurezza, perché nell’avanzare delle crisi si rischia un crescendo di tensioni sociali e di disordini, alla fine distruttivi anche per l’economia, tensioni che ancora solo la democrazia ci può evitare.
Due non piccole parti dell’Italia stanno invece oscillando tra due estremi: l’estremo della rinuncia alla democrazia, in cambio della sicurezza; l’estremo della rinuncia alla sicurezza, per conservare un po’ di democrazia.
Da una parte ci sono la destra e la sinistra insieme, partiti che per un intero anno hanno insieme sostenuto ed insieme votato il governo tecnico, divisi solo in apparenza, ma in sostanza uniti nel piano di una continuata futura applicazione di un rigore “tecnico” fatto, come nella medicina antica, con le “sanguisughe”.
Dall’altra parte ci sono l’antipolitica, la rabbia e la protesta, l’astensione ed il contro-voto.
In particolare:
a) da una parte, tanto a destra quanto a sinistra, ci sono i “responsabili”, posizionati dentro partiti che formalmente litigano, ma sostanzialmente tra di loro concordano, in attesa di replicare anche per l’Italia il modello della Grecia.
Alle ali sono poi e da ultimo apparsi anche vecchi e nuovi ascari fiancheggiatori.
Per tutti questi, il transitorio dovrebbe diventare permanente.
Come si fa nei grandi piani strategici, le cose prima si esperimentano in piccolo. Ed è per questo che è proprio il modello già sperimentato in Grecia quello che ora è destinato ad essere esteso, su più vasta scala, prima alla Spagna e poi all’Italia.
In sintesi, quello che in Italia ha finora fatto il governo tecnico, con la sua “strana” maggioranza, dovrebbe essere solo un antipasto, in attesa delle successive portate che si trovano già scritte nel lascito della sua “agenda”.
Le prossime portate potrebbero (in teoria!) anche essere un po’ meno pesanti, ma se anche fosse così, e se ne dubita, sarebbero comunque più indigeste, proprio
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perché verrebbero dopo le prime, in un corpo già intossicato da troppe tasse e da troppa paura e debilitato dalla conseguente recessione.
E tuttavia, nell’economia politica propria del modello già sperimentato in Grecia, davvero convintamente si pensa che il “risanamento” non possa prendere altra forma, se non quella di un salasso che si può imporre senza fine e senza un fine, in nome di astrazioni finanziarie non necessariamente comprese dal popolo, ma divinizzate e legittimate dai tecnici.
Ed apprezzate, davvero molto apprezzate da chi, fuori dall’Italia, si appresta a colonizzarci, approfittando dell’effetto sorpresa, approfittando della nostra attuale sfortunata debolezza, approfittando del disorientamento creato dai suoi domestici fiduciari, soprattutto approfittando degli effetti di recessione economica causati dalla “tecnica” da questi applicata;
b) dall’altra parte c’è l’Italia agnostica o critica. L’Italia del non voto o del contro-voto.
Noi vogliamo, invece, dobbiamo e possiamo uscire da questa alternativa micidiale, dall’alternativa tra “agende straniere” e “rabbia italiana”.
Per cominciare, questo “MANIFESTO” è contro l’esecuzione pronta e silenziosa di una “agenda straniera”.
Certo, l’Italia e gli italiani possono e devono sacrificarsi. Ma non in questo modo buio, subendo una imperìta, disordinata accumulazione di manovre economiche. Manovre improvvisate ed inventate, da un giorno all’altro, eseguite sotto un continuo umiliante e deprimente ricatto, senza luce e senza speranza.
E poi non va bene neppure la “rabbia italiana”.
Perché se ti astieni dal voto puoi certo avere le tue buone ragioni, ma non devi e non puoi dimenticare che non ci si astiene dalla crisi, perché poi è pur sempre la crisi che non si astiene dal bussare alla tua porta!
Perchè chi protesta contro tutto e contro tutti può certo avere le sue buone ragioni, ma così facendo diventa il miglior alleato di chi specula sull’Italia e contro l’Italia e dunque anche contro di lui!
Niente di tutto questo ci va bene.
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Neppure la paura. C’è chi pensa ancora di poter continuare ad usare la paura come ideologia, come strumento di potere politico.
Noi, all’opposto, non vogliamo che la politica faccia paura!
E tuttavia, è inutile nasconderlo, e conviene anzi ripeterlo, siamo in guerra ed in guerra contro una superpotenza che da ultimo si è scatenata anche sull’Italia e contro l’Italia.
Vediamo come e perchè.

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