domenica 26 aprile 2015

Intervento dell’on. Rocco Palese su “Discussione del D.E.F. 2015”

Intervento dell’on. Rocco Palese su “Discussione del Documento di economia e finanza 2015”


Palese

Grazie, signora Presidente. Onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo,
il quadro macroeconomico descritto nel DEF, approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 10 aprile nella sua versione programmatica, risulta venato da una notevole dose di ottimismo, com’è dimostrato dal confronto con le previsioni di tutte le principali istituzioni internazionali, dal Fondo monetario internazionale alla Commissione europea. La stessa Banca d’Italia, proprio in questi giorni, nel suo Bollettino Economico, ne ha notevolmente ridimensionato le pretese, proprio a partire dall’anno in corso, con evidenti effetti immediati negli anni successivi. Tutte le audizioni hanno, sostanzialmente e in maniera significativa, con varie argomentazioni, con vari modelli statistici, con vari riferimenti, segnalato questo eccesso di ottimismo, soprattutto, nelle previsioni programmatiche di finanza pubblica, dei conti pubblici del Paese.
Gli andamenti del primo trimestre, che dovrebbero portare ad una crescita del PIL dello 0,1 per cento, sono coerenti con questi elementi di preoccupazione, considerato che l’acquisito per l’anno in corso – tutto il dato acquisito – è pari a meno dello 0,1 per cento. Ne deriva che, per realizzare gli obiettivi indicati dal Governo, l’economia dovrebbe crescere nei prossimi mesi dello 0,7 per cento: prospettiva senza dubbio auspicabile, ad avviso di Forza Italia, ma altrettanto improbabile e non solo per noi.
Si potrebbe ancora forzare il sentiero dello sviluppo, ma questa strategia richiederebbe una politica economica ed una visione che mancano nell’ordine del giorno del Governo, che si limita solo ad incassare il dividendo che deriva dalle migliorate condizioni internazionali, sempre che le turbolenze legate al caso della Grecia non siano destinate a mutarne radicalmente il clima. La verità è che il tema di come fare sviluppo in una situazione caratterizzata dalla scarsità delle risorse pubbliche a disposizione rimane la grande incognita, rispetto alla quale il Governo si trova impotente.
Al fine di individuare i possibili meccanismi autopropulsivi dello sviluppo, sarebbe necessario avviare un grande confronto con tutte le forze presenti in Parlamento, puntare sul dialogo e l’inclusione. Il Governo segue, invece, una linea opposta: quella dell’uomo solo al comando, con un continuo restringimento della sua base parlamentare e il tentativo di stabilire un rapporto diretto e non mediato con l’elettorato, utilizzando lo strumento della spesa pubblica, il cosiddetto tesoretto come semplice «carota» per convincere i perplessi.
A tal proposito, signora Presidente, io richiamo fortemente la sua attenzione sul problema della situazione del cosiddetto tesoretto, perché noi in audizione, in Commissione bilancio, abbiamo avuto la possibilità di ascoltare il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio; non solo abbiamo ascoltato il presidente – ma quella è l’istituzione, dal punto di vista istituzionale, a cui noi dobbiamo fare, per forza, riferimento –, ma anche, poi, i dati della Corte dei conti e della Banca d’Italia. In sostanza, questa possibilità viene ritenuta non solo imprudente, ma, a nostro avviso, non praticabile dal punto di vista della correttezza dell’ordinamento contabile della finanza pubblica rispetto alle vigenti norme nel corso dell’esercizio finanziario.
Noi neanche abbiamo concluso i quattro mesi di questo esercizio finanziario: come si fa a prevedere che possa esserci, entro il 31 dicembre di quest’anno, con le varie turbolenze che sono corso, la possibilità di utilizzare 1,6 miliardi di euro ?
Questa operazione, secondo le regole della contabilità e anche del buonsenso, ha solo due possibilità: la prima, che il Governo si impegni, di modo e di fatto, nella risoluzione che presenterà ad attuare una variazione di bilancio. Potrebbe farlo tranquillamente, sarebbe una strada corretta: fa una variazione rispetto all’attuale bilancio dello Stato. Peraltro, anche la Commissione bilancio ieri si è pronunciata dicendo che la condizione è questa, ossia che può essere fatto questo provvedimento, se il Governo se ne assume la responsabilità e la necessità e se vengono utilizzate le risorse attualmente presenti nel bilancio dello Stato come competenza e cassa. Questa è una cosa corretta.
Se, invece, si vuole scegliere un’altra strada, allora, come dice il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, bisogna quanto meno utilizzare la rispondenza delle eventuali entrate fiscali della fiscalità generale (quindi, siamo già a giugno o luglio, con il 730 e il 740) e correttamente in sede di assestamento di bilancio.
L’Ufficio parlamentare di bilancio – signora Presidente, io richiamo la sua attenzione formalmente – ha l’obbligo di vigilare su questo aspetto, perché non esiste al mondo che sul problema della risoluzione, che sarà presentata… Noi faremo la risonanza magnetica alla risoluzione su questo aspetto, così come l’Ufficio parlamentare e anche l’ufficio di bilancio della Camera preposto devono fare la risonanza magnetica, perché colpi di mano o artifici contabili, al di fuori di quello che prevedono le norme contabili e la legge di contabilità n. 196 del 2009, non possono essere fatti, occorre che ci sia la certezza delle entrate.
Se il Presidente del Consiglio e il Governo ritengono di fare e di adottare questa procedura del tesoretto e quant’altro, si devono assumere la responsabilità di fare una variazione di bilancio. Questa è la situazione corretta, non che ci sono degli artifici in giro, secondo le voci che io mi auguro non siano riscontrate. In queste ore, mentre noi parliamo, c’è uno scontro non di poco conto tra la Ragioneria generale dello Stato e la Presidenza del Consiglio, perché dalla Presidenza del Consiglio giunge voce che vorrebbero utilizzare una specie di anticipazione sul risparmio. Dove sta il risparmio ? Dove sta la certezza delle entrate ?
Eppure, l’esperienza storica dovrebbe illuminare. Quando si ricorre a strumenti di questo tipo, invece di mobilitare le risorse di una sana economia, i risultati non possono che essere deludenti. Lo si è visto con l’elargizione a pioggia degli 80 euro: dovevano determinare un impatto immediato sulla crescita del PIL e, invece, i risultati a consuntivo ne dimostrano tutta l’inadeguatezza. Da un lato, quasi 10 miliardi di spese in più, oltre lo 0,6 per cento del PIL; dall’altro, un impatto sul PIL che le valutazioni più ottimistiche stimano nello 0,1 per cento dello stesso aggregato.
Ripetere l’esperimento utilizzando nuove risorse per un valore pari a 1,6 miliardi di euro non sarebbe solo sbagliato, ma una perseverazione diabolica nell’errore, oltre che essere contro le leggi dello Stato. Le proposte governative rischiano pertanto di creare un buco nell’acqua e di sprecare le opportunità di una situazione internazionale che non può durare all’infinito. La caduta del prezzo del petrolio, l’erosione del cambio, il quantitative easingrappresentano quella finestra, come più volte indicato dal Ministero dell’economia, destinata a chiudersi prima o poi.
Anche il Presidente della Banca centrale europea ha detto che l’attuale fase economica favorevole per le condizioni esogene – non certo per merito del Governo – è del tutto passeggera e che, invece, bisogna cercare interventi strutturali, che ancora noi non vediamo da nessuna parte descritti, se non accennati, evocati, annunciati come sempre in questo DEF. Non approfittarne con politiche ambiziose, focalizzate sul mercato e sui suoi meccanismi di funzionamento non può che comportare un tragico errore, l’ennesima occasione persa da parte del Governo del Paese.
La dimostrazione di quanto appena detto la si ritrova nelle previsioni dei principali organismi internazionali. Secondo il Fondo monetario internazionale nei prossimi cinque anni (traguardo 2020) l’Italia crescerà a ritmo più basso di tutti i Paesi dell’Eurozona.
Le stime parlano di uno sviluppo medio dell’1 per cento contro l’1,6 per cento dell’Eurozona. Meglio dell’Italia non farà solo la Germania ma la Francia, la Spagna, e anche la Grecia, il Portogallo, Cipro e la Slovenia, ovvero Paesi che hanno subito una crisi finanziaria che li ha portati sull’orlo del default. Se questo dovesse essere l’effettivo orizzonte, l’Italia, una volta risorsa dell’intera l’Europa, diverrà il suo principale problema. Alla crescente insostenibilità del suo debito sovrano, checché ne dica il Ministro dell’economia, si accompagnerà un’anemia produttiva destinata a far risaltare ancora di più lo squilibrio nei suoi fondamentali. Si aprirebbe in questo caso uno scenario insolito. Negli anni Ottanta, infatti, il debito, per motivi complessi in parte legati ai mutamenti intervenuti nella politica monetaria americana (la cosiddetta rivoluzione di Paul Volcker, allora Presidente della FED), cresceva in modo preoccupante, ma il ritmo di sviluppo dell’economia italiana era tra i più alti in Europa. L’asimmetria di questi andamenti contribuiva ad evitare effetti cumulativi che, altrimenti, avrebbero determinato – come poi avvenne nel 1992, a seguito della riunificazione tedesca, che alimentò la crisi dello SME – effetti distruttivi.
Memori quindi dell’esperienza storica più recente, è bene guardare al futuro con meno beota incoscienza e più determinazione. Il Governo punta a far crescere il potenziale produttivo italiano attraverso le riforme ipotizzate, che, tuttavia, come ricordava la Banca d’Italia, non basta annunciare. La contraddizione di questa prospettiva con il breve periodo è evidente. I loro effetti, se mai si verificheranno nella dimensione più volte enunciata e altrettanto rimaneggiata, si avranno nell’arco di quattro, cinque anni o forse mai. Nel frattempo, come sarà cambiata la situazione internazionale ? Il rischio di un amalgama non riuscito è del tutto evidente. Ragioni di prudenza, miste al realismo, richiederebbero pertanto una riflessione più approfondita sui dati forniti dal Governo nella sua previsione. Secondo i valori indicati, la crescita per l’anno in corso dovrebbe essere alimentata in parte dalla domanda interna, che dovrebbe contribuirvi per lo 0,4 per cento, ed in parte dall’estero per il restante 0,4, mentre dalle scorte si dovrebbe avere un effetto negativo dello 0,1 per cento. Lo scorso anno la forte compressione del PIL (meno 0,4 per cento) è stata determinata, in misura rilevante, dalla compressione della domanda interna (consumi delle famiglie ed investimenti), con una caduta, in termini di contributi alla crescita del PIL dello 0,6 per cento. È realistico ipotizzare un vero e proprio ribaltamento, che dovrebbe avere la dimensione di 1 punto di PIL, per far quadrare la previsione. Qualche sintomo di risveglio si intravede ma finora i consumi delle famiglie, in leggera ripresa, si sono concentrati solo sui beni durevoli, fatto fisiologico, dopo tre lunghi anni di contenimento. Ciò che ancora manca è la diffusione del fenomeno ai beni comuni, che rappresentano il pavimento indispensabile per una loro ripresa duratura. Gli altri elementi della previsione non sfuggono alla critica. Nel DEF non viene fatta alcuna differenza tra investimenti pubblici e privati. Si prevede una loro ripresa, con un contributo alla crescita del PIL dello 0,2 per cento, ma Banca d’Italia ha dimostrato che, mentre le uscite in conto capitale resterebbero sostanzialmente stabili, le uscite primarie crescerebbero dell’1,3 per cento. Quindi, la ripresa degli investimenti è affidata solo al settore privato, dove, tuttavia, esiste una grande capacità produttiva inutilizzata. Forse, le imprese che operano sui mercati internazionali si muoveranno secondo le indicazioni fornite, ma si tratta, pur sempre, di una massa critica (circa il 30 per cento delle imprese italiane, in termini di valore aggiunto) limitata. Se non ripartirà la domanda interna è difficile che il processo possa avere la diffusione ipotizzata.
Sul fronte dell’estero, la previsione è più realistica. Lo scorso anno esso ha contribuito per lo 0,3 per cento ad arrestare la maggiore caduta del PIL; allora le previsioni di crescita del commercio internazionale erano del 3 per cento. Per l’anno in corso è previsto un leggero miglioramento: 4 per cento, tutto qui. Il dato fornito dal Governo ha quindi una sua coerenza ma con una grande controindicazione. Il contributo dell’estero è dato dalla differenza traexport ed import. L’anno passato il suo contributo alla crescita del PIL scontava una forte compressione della domanda interna. Se quest’ultima dovesse crescere, secondo le ottimistiche previsioni del Governo – noi siamo convinti purtroppo del contrario –, le importazioni seguirebbero una traiettoria diversa dal passato e quindi quell’attivo dello 0,4 per cento, in termini di contributi alla crescita del PIL, risulterebbe fortemente ridimensionato. Quindi, sono aleatori i numeri che il Governo propone. Soffermarsi su un quadro macroeconomico è stato importante a causa delle conseguenze che il Governo attribuisce alla sua evoluzione. Nel 2016, come indicato nello stesso documento, occorrerà trovare le risorse indispensabili per far fronte alle clausole di salvaguardia previste nelle passate leggi di stabilità, per un valore pari ad 1 punto di PIL. Le risorse indispensabili per indicare questo traguardo sono state indicate, per 0,4 punti di PIL, nel miglioramento del quadro economico e per il restante 0,6 per cento, grazie ad un’ipotetica spending review di cui non si conosce la relativa specifica.
Se le cose dovessero risultare peggiori di quanto previsto, ed i margini di incertezza ai quali si è accennato non lasciano dormire sonni tranquilli, l’intervento, in termini finanziari, dovrebbe essere ancora più massiccio. Ed i dubbi che sono stati avanzati nei vari interventi, durante le audizioni parlamentari, relativi all’andamento del deficit strutturale, della regola della spesa e del contenimento del rapporto debito pubblico – in altri termini del rispetto delle regole europee – diverrebbero certezze. Purtroppo certezze negative, sulle quali, fina da ora, pesa la spada di Damocle della Commissione europea. Il Presidente Renzi nel semestre di presidenza italiana non è riuscito ad ottenere nulla, non è riuscito a concretizzare in un impegno l’auspicio della cosiddetta flessibilità, neanche per la nettizzazione dei fondi strutturali europei rispetto alla richiesta di nettizzazione sul patto di stabilità interno in riferimento agli investimenti. Di questo chiaramente nel DEF non vi è traccia.
Si spiegano così le critiche unanimi, che sono state rivolte, rispetto all’ipotesi di un utilizzo preventivo di un presunto «tesoretto», a cui, signora Presidente, accennavo all’inizio del mio intervento, che al momento esiste solo nei computer di Via XX Settembre. Se mai dovesse essere accertato, in sede di analisi del bilancio di assestamento e non prima, sulla sua possibile destinazione si dovrebbe discutere, tenendo conto del quadro complessivo dell’economia italiana. Resistendo alla tentazione di un uso solo politico del medesimo. È questione di serietà: di fronte all’opinione pubblica e all’Europa. Le risorse a disposizione possono essere usate solo quando sono state definitivamente accertate, secondo procedure e metodologie rigorose. Altrimenti si contribuisce solo ad alimentare lo sconcerto e il disincanto. Dalla Banca d’Italia e dalla Corte dei conti viene lo stimolo e l’indicazione, ove dovesse concretizzarsi l’eventualità di poter utilizzare quelle risorse, di destinarle alla riduzione del debito pubblico.
Il gruppo parlamentare Forza Italia, nella sua riflessione critica del DEF, ha rinunciato alla facile demagogia, facendo emergere preoccupazioni che sono reali, quali premessa che può essere foriera di ulteriori sviluppi e confronti parlamentari, dai quali non intende sottrarsi, nella consapevolezza dei rischi prospettici che gravano sulla società italiana. Da più parti si sono suggerite anche proposte alternative da contrattare in Europa, nel contesto di ciò che esiste all’interno dell’Europa. Altro che semestre europeo ! Nel semestre europeo il Presidente del Consiglio avrebbe dovuto mettere in mora l’Europa, perché anch’essa è inadempiente rispetto al Patto di stabilità e crescita. Dopo circa 13 anni di moneta unica del Patto di stabilità e crescita purtroppo non abbiamo la stabilità finanziaria e della crescita non si vede l’ombra, perché anche il cosiddetto Piano Juncker è soltanto un’illusione. Meglio di niente, meglio feriti che morti, ma non porterà veramente dei risultati.
È necessario, pertanto, che il Governo soprassieda da qualsiasi decisione circa l’ulteriore distribuzione a pioggia di risorse che non sono state contabilmente certificate, impostando, al tempo stesso, una strategia di politica economica che non rimandi ad un tempo indefinito, e comunque disallineato dalle dinamiche della congiuntura internazionale, le necessarie misure da intraprendere. L’obiettivo è uscire dalla genericità delle enunciazioni circa la necessità di un maggiore sviluppo, indispensabile per arrestare i fenomeni di ulteriore arretramento rispetto alla realtà internazionale. Non dimenticando che, a differenza della maggior parte dei paesi dell’eurozona, l’Italia deve ancora recuperare circa 9 punti di PIL, per ritornare alla situazione del 2007. Ed è questo il duro fardello che deve essere rimosso, nel tempo più breve possibile.
Signora Presidente, mi limito ora ad illustrare ciò su cui in sede di dichiarazione di voto il mio gruppo tornerà una volta fatta la verifica rispetto a ciò che viene proposto nella risoluzione da parte del Governo in merito alle perplessità che ho evidenziato poco fa. Non è solo un fatto politico, nella maniera più assoluta, perché il Governo se vuole prendere quella strada può farlo tranquillamente assumendosene la responsabilità, purché lo faccia nella correttezza e nel rispetto delle leggi. Procedesse ad operare la variazione di bilancio, perché quella è la manovra corretta e noi non tollereremo che alla vigilia delle elezioni si faccia un decreto, che magari viene prima nascosto, perché mi rifiuto di credere che la Ragioneria generale possa bollinare una cosa diversa da quella, per poi scoprire, a risultato delle elezioni già acquisito, che il tesoretto in effetti non c’era e si debbono prendere altre risorse da poter essere utilizzate a pioggia per comprarsi il consenso elettorale

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