lunedì 31 maggio 2010

MANOVRA ECONOMICA: Un taglio agli sprechi

Per giudicare la manovra del governo questa volta è utile usare parametri un po’ diversi da quelli abituali: questa, infatti, va considerata alla stregua di una manovra di guerra, varata in un frangente eccezionale, in cui i mercati finanziari si possono scatenare contro qualsiasi Paese in ogni momento, e la messa in sicurezza dei conti pubblici è una strada senza alternative, ossia quella che porta alla creazione di spazio per la crescita economica attraverso la riduzione del debito pubblico.

E’ chiaro, quindi, che in questa prospettiva la lotta all’evasione fiscale è al primo punto dell’agenda, insieme alla missione di far scendere più rapidamente possibile il rapporto tra il deficit (e il debito) e il prodotto interno lordo.

L’obiettivo è quello di tagliare gli sprechi e la spesa pubblica improduttiva senza aumentare le tasse e senza colpire i ceti più deboli. Quella presentata è dunque una manovra economica volta a combattere fenomeni odiosi come le false pensioni di invalidità, l’evasione fiscale e i privilegi delle caste. Contestualmente, poi, il governo ha deciso di varare una riforma strutturale anche della spesa sanitaria adottando sostanziali riforme strutturali nei principali comparti di spesa del Paese, ad iniziare dal pubblico impiego, dalla sanità, appunto, dai rapporti con gli enti locali, dalla fiscalità. E questo è un fondamentale elemento di novità, in quanto le misure adottate smentiscono l’approccio più cauto che nel passato aveva indotto i governi ad evitare l’adozione di riforme strutturali in periodi di crisi. Ma il ragionamento è sempre lo stesso, un ragionamento a tutto tondo "europeo": la manovra da 24 miliardi in due anni rientra nella corsa contro i deficit intrapresa da tutta l’Unione europea.

L’accelerazione sui tempi voluta dall’Italia, peraltro, è stata molto apprezzata da Bruxelles, che ieri ha commentato: il governo italiano ha fatto quel che doveva fare, queste decisioni "andavano prese e andavano prese adesso", ha dichiarato il commissario agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, altrimenti la deriva verso le situazioni di Spagna e Portogallo sarebbe stata inevitabile.

Non bisogna stancarsi di ripeterlo: questa manovra non è come le altre, e tutti gli enti di governo (Regioni, Province, Comuni e Comunità montane) devono fare la loro parte per uscire dalla difficile congiuntura economica. Mentre l’Europa produce più debito che ricchezza, l’Italia ha deciso di ridurre drasticamente il perimetro dell’area pubblica. Dunque, ridurre la spesa serve a prescindere dalla ripresa economica perché ne va della stabilità finanziaria.

I concetti sono molto chiari, ma l’opposizione non sembra averli ancora compresi, nonostante il nuovo appello del presidente Napolitano, dagli Stati Uniti, ad arrivare a misure condivise nell’interesse del Paese, nel segno dell’equità. L’Udc non ha detto sì a scatola chiusa, ma prima di esprimersi ufficialmente valuterà attentamente il testo e si consulterà con le parti sociali.

L’Italia dei Valori ha già pronunciato un secco no, mentre il governatore pugliese Nichi Vendola, aspirante candidato premier del centrosinistra, ha gridato addirittura alla "macelleria sociale". E il Pd? Intervenendo dalla Cina, Bersani non ha lasciato molti spazi aperti alla convergenza. "Nella manovra – ha detto - non intravedo riforme, non vedo niente". Inutile girarci intorno: ancora una volta il gruppo dirigente democratico, salvo qualche rara eccezione, si è accodato alle posizioni ultracritiche della Cgil, piuttosto che alla cautela di Cisl e Uil.

Il leit-motiv è quello scontato: secondo il Pd la manovra mostra troppa propensione ai tagli, a discapito di quanti sono già penalizzati dall’iniqua ripartizione del carico fiscale e a tutto svantaggio degli enti locali, con pochi incentivi alla crescita. Certo, è stata espressa la disponibilità a confrontarsi in Parlamento, ma dietro le mini-aperture formali si intravede un sostanziale no. Come da copione.

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