mercoledì 12 maggio 2010

Napolitano a Marsala per il 150° dei Mille

Genova, 05/05/2010


Intervento del Presidente Napolitano in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario


della partenza dei Mille

Non è per caso, e non è solo per ragioni di cronologia storica che l'itinerario delle visite ai

"Luoghi della memoria" per il centocinquantenario dell'Unità d'Italia parte dalla spiaggia e

dallo scoglio di Quarto a Genova. In effetti, fu qui che il 5 maggio del 1860 prese avvio,

con la spedizione dei Mille, la fase conclusiva del lungo percorso del movimento per

l'Unità, che sarebbe culminata nella proclamazione, il 17 marzo 1861, di Vittorio

Emanuele II Re d'Italia, nella nascita cioè dello Stato unitario.

Si aggiunga che se si ripercorrono gli eventi sfociati nella decisiva scelta dell'impresa

garibaldina per la liberazione della Sicilia e del Mezzogiorno, è possibile cogliere le

componenti e gli intrecci essenziali del moto unitario, i suoi tratti originali e i motivi del

suo successo. L'Unità d'Italia fu perseguita e conseguita attraverso la confluenza di diverse

visioni, strategie e tattiche, la combinazione di trame diplomatiche, iniziative politiche e

azioni militari, l'intreccio di componenti moderate e componenti democraticorivoluzionarie.

Fu davvero una combinazione prodigiosa, che risultò vincente perché più

forte delle tensioni anche aspre che l'attraversarono.

Le tensioni non mancarono anche alla vigilia della decisione di salpare da Quarto per la

Sicilia : non mancarono in Garibaldi i dubbi sulle possibilità di riuscita dell'impresa ; non

mancarono le preoccupazioni e le riserve di Cavour per una spedizione guidata da

Garibaldi, i cui svolgimenti e le cui ricadute potessero sfuggire al controllo politico e

diplomatico del massimo stratega del processo unitario. Pesarono, e non poco, diffidenze e

rivalità personali nel cui giuoco era ben presente anche Vittorio Emanuele. Al fondo, era

in questione, o così sembrava, l'egemonia, l'impronta - moderata o democratica - del

movimento per l'Unità e della costruzione del nuovo Stato che ne sarebbe scaturito. Ma su

tutto prevalsero le ragioni dettate dallo sviluppo degli avvenimenti, gli imperativi del

processo storico, con cui tutti i protagonisti della causa italiana dovettero fare i conti.

La Seconda Guerra d'Indipendenza si era conclusa con una vittoria, costata un pesante

tributo di sangue anche alle forze del Regno sardo ; la scelta dell'alleanza con Napoleone

III si era rivelata obbligata e feconda, anche se comportò il duro sacrificio della cessione

alla Francia di Nizza e della Savoia ; attaccato per questo sacrificio, Cavour poté

comprensibilmente vantare per la sua politica "l'averci condotto" - disse - "in così breve

tempo a Milano, a Firenze e a Bologna".

In effetti, con l'annessione della Lombardia, dell'Emilia e della Toscana, il regno sabaudo

superò gli 11 milioni di abitanti, divenendo un non più trascurabile Regno centrosettentrionale.

Ma questo, come ha scritto un grande storico, Rosario Romeo, restava

"troppo lontano dall'ideale, non solo mazziniano, di un'Italia unita, che fosse opera

soprattutto degli italiani stessi". Si erano peraltro esauriti, con i risultati ottenuti, i margini

dell'iniziativa politica e diplomatica e delle alleanze di guerra fino allora sperimentate. Lo

disse chiaramente nel luglio 1859 l'accordo di Villafranca tra Napoleone III e l'Imperatore

Ma questo, come ha scritto un grande storico, Rosario Romeo, restava

"troppo lontano dall'ideale, non solo mazziniano, di un'Italia unita, che fosse opera

soprattutto degli italiani stessi". Si erano peraltro esauriti, con i risultati ottenuti, i margini

dell'iniziativa politica e diplomatica e delle alleanze di guerra fino allora sperimentate. Lo

disse chiaramente nel luglio 1859 l'accordo di Villafranca tra Napoleone III e l'Imperatore

Francesco Giuseppe, che prospettava per l'Italia la soluzione mortificante di una

Confederazione di tutti gli Stati esistenti sotto la presidenza onoraria del Pontefice. A

Cavour non restò che rassegnare le dimissioni. Spettava ormai "alle forze democratiche e

rivoluzionarie" - è sempre il giudizio del nostro maggiore storico di quegli eventi -

"imprimere una nuova spinta in avanti al processo unitario". Era venuto il momento di

Garibaldi.

D'altronde, già in vista della II Guerra d'Indipendenza, Garibaldi era stato richiesto da

Cavour di reclutare volontari che sarebbero stati chiamati a far parte del corpo dei

"Cacciatori delle Alpi" e avrebbero dato un contributo decisivo alla vittoria contro gli

austriaci in Lombardia. Al di là di ogni sospetto e circospezione nei confronti di Garibaldi,

Cavour non dubitava - così si espresse - che egli fosse una "delle maggiori forze di cui

l'Italia potesse valersi". Se non si voleva rinunciare al compimento, in Sicilia e nel

Mezzogiorno, dell'unificazione nazionale, e non si voleva dare per chiusa la questione

romana - e nessuno dei diversi protagonisti poteva volerlo - anche le incognite di una

spedizione in Sicilia guidata da Garibaldi andavano accettate, sia pure con prudenza.

D'altra parte, le aspettative per ulteriori sviluppi del movimento per l'Unità d'Italia erano

cresciute e crescevano in tutte le regioni non ancora liberate. E una spinta decisiva venne -

mentre a Genova affluivano i volontari - dai moti rivoluzionari scoppiati a Palermo e nel

palermitano nell'aprile 1860. Il moto unitario cresceva dal basso, scaturiva dal seno della

società civile e non solo dai disegni di ristretti vertici politici. Ne dava la misura il

fenomeno del volontariato, stimolato e coordinato dalla Società nazionale creata nel 1857,

e incanalato dapprima verso il Piemonte in vista della guerra contro l'Austria.

Senza l'apporto del volontariato non sarebbe stata concepibile la spedizione dei Mille.

Esso rifletteva il diffondersi di quel sentimento di italianità che poi affratellò gli imbarcati

sulle due navi dirette in Sicilia - Piemonte e Lombardo. Erano in realtà anche più di mille,

in grande maggioranza lombardi, veneti, liguri : nelle sue famose e sempre fascinose

"Noterelle", Abba dice di udire a bordo "tutti i dialetti dell'Alta Italia", e parla di "Veneti,

giovani belli e di maniere signorili", di Genovesi e Lombardi, "gente colta all'aspetto, ai

modi e anche ai discorsi". Insomma, italiani che si sentivano italiani e che accorrevano là

dove altri italiani andavano sorretti nella lotta per liberarsi e ricongiungersi in un'Italia

finalmente unificata.

Si indulge forse alla retorica rievocando questi e altri aspetti e momenti dell'epopea dei

Mille, o rendendo omaggio alla capacità di attrazione e di guida, al coraggio e alla perizia

di condottiero, insomma alla straordinaria figura di Garibaldi, incomprensibilmente

oggetto ancora di grossolane denigrazioni da parte di nuovi detrattori? Bisogna intendersi.

Retorica sarebbe una rappresentazione acritica del processo unitario, che ne lasci in ombra

contraddizioni e insufficienze per esaltarne solo la dimensione ideale e le prove di

Mille, o rendendo omaggio alla capacità di attrazione e di guida, al coraggio e alla perizia

di condottiero, insomma alla straordinaria figura di Garibaldi, incomprensibilmente

oggetto ancora di grossolane denigrazioni da parte di nuovi detrattori? Bisogna intendersi.

Retorica sarebbe una rappresentazione acritica del processo unitario, che ne lasci in ombra

contraddizioni e insufficienze per esaltarne solo la dimensione ideale e le prove di

sacrificio ed eroismo ; e ancor più lo sarebbe una rappresentazione acritica dei traguardi

raggiunti 150 anni fa e da allora ad oggi.

Ma non è questa la strada che stiamo seguendo - il governo, il Parlamento, le istituzioni

regionali e locali, il mondo della cultura - per celebrare il centocinquantesimo anniversario

della fondazione dello Stato unitario : è giusto ricordare i vizi d'origine e gli alti e bassi di

quella costruzione, mettere a fuoco le incompiutezze dell'unificazione italiana e

innanzitutto la più grave tra esse che resta quella del mancato superamento del divario tra

Nord e Sud ; è giusto quindi anche riportare in luce filoni di pensiero e progetti che

restarono sacrificati nella dialettica del processo unitario e nella configurazione del nuovo

Stato.

Non è però retorica il reagire a tesi storicamente infondate, come quelle tendenti ad

avvalorare ipotesi di unificazione solo parziale dell'Italia, abbandonando il Sud al suo

destino, ipotesi che mai furono abbracciate da alcuna delle forze motrici e delle personalità

rappresentative del movimento per l'Unità. E tanto meno è retorica il recuperare motivi di

fierezza e di orgoglio nazionale : ne abbiamo bisogno, ci è necessaria questa più matura

consapevolezza storica comune, anche per affrontare con accresciuta fiducia le sfide che

attendono e già mettono alla prova il nostro paese, per tenere con dignità il nostro posto in

un mondo che è cambiato e che cambia. Ne hanno bisogno anche i ragazzi delle Forze

Armate che portano la nostra bandiera, rischiando la vita, in impervi teatri di crisi.

Perciò tutte le iniziative che il ministro Bondi ha richiamato come sobrio programma per il

150° - iniziative di carattere culturale, di più larga risonanza emotiva e popolare, di

particolare valenza educativa e comunicativa - non sono tempo perso e denaro sprecato,

ma fanno tutt'uno con l'impegno a lavorare per la soluzione dei problemi oggi aperti

dinanzi a noi : perché quest'impegno si nutre di un più forte senso dell'Italia e dell'essere

italiani, di un rinnovato senso della missione per il futuro della nazione. Ieri volemmo

farla una e indivisibile, come recita la nostra Costituzione, oggi vogliamo far rivivere nella

memoria e nella coscienza del paese le ragioni di quell'unità e indivisibilità come fonte di

coesione sociale, come base essenziale di ogni avanzamento tanto del Nord quanto del

Sud in un sempre più arduo contesto mondiale. Così, anche nel celebrare il 150°,

guardiamo avanti, traendo dalle nostre radici fresca linfa per rinnovare tutto quel che c'è da

rinnovare nella società e nello Stato.

Ieri e oggi ho reso egualmente omaggio alla Genova di Mazzini e di Garibaldi, e alla

Genova dei giorni nostri, esempio di un nuovo risorgimento scientifico e produttivo, di un

nuovo slancio creativo e laborioso.

Deve quindi guidarci più che mai anche in queste celebrazioni un forte spirito unitario :

esse non possono essere rivolte in polemica con nessuna parte politica né formare oggetto

di polemica pregiudiziale da parte di nessuna parte politica. C'è spazio per tutti i punti di

Genova dei giorni nostri, esempio di un nuovo risorgimento scientifico e produttivo, di un

nuovo slancio creativo e laborioso.

Deve quindi guidarci più che mai anche in queste celebrazioni un forte spirito unitario :

esse non possono essere rivolte in polemica con nessuna parte politica né formare oggetto

di polemica pregiudiziale da parte di nessuna parte politica. C'è spazio per tutti i punti di

vista e per tutti i contributi. Onoriamo così i patrioti, gli eroi e i caduti dei Mille che

salparono da Genova in questo giorno 5 di maggio di 150 anni orsono.
 
Giorgio Napolitano
Dal Sito della Presidenza della Repubblica
 
 
 

Nessun commento:

Posta un commento