lunedì 28 marzo 2011

BERLUSCONI: Non siamo in guerra e non ci entreremo

BERLUSCONI: Non siamo in guerra e non ci entreremo

Il colloquio di Silvio Berlusconi con il Corriere della Sera pubblicato il 24 marzo 2011



(l.fo.) Al mattino in Consiglio dei ministri ha potuto finalmente rivendicare la «linea vincente» dell’Italia nella gestione della crisi libica. I primi giorni della missione, segnati dalla spinta francese a chiudere con le armi la partita con il colonnello Gheddafi, sembrano archiviati e l’umore del presidente del Consiglio migliorato. «Abbiamo ottenuto non solo il pieno coordinamento Nato di tutte le operazioni della missione - spiega al telefono - ma anche l’applicazione puntuale della risoluzione dell’Onu. La coalizione è impegnata a difendere la popolazione civile, l’Italia non è entrata in guerra e non vuole entrarci».


Le ore dell’incertezza sul comando delle operazioni e sugli obiettivi della coalizione (proteggere i libici dalla repressione delle milizie del Raìs o promuovere il cambio di regime con la sconfitta e l’eliminazione del Colonnello?) sono, per il Cavaliere, definitivamente superate. Ci sono tre punti chiari sull’azione occidentale in un Paese così strategico per gli interessi italiani: creazione di una «no-fly zone» che impedisca all’aviazione di Tripoli di colpire le città in mano ai ribelli, embargo delle armi alla Libia, difesa della popolazione civile in balìa delle armate del Raìs.


«Era tutto già chiaro da sabato quando la missione è stata decisa - aggiunge il capo del governo -. Ne ho parlato con il premier inglese David Cameron e con il segretario di stato americano Hillary Clinton, ed erano perfettamente d’accordo». Ma d’accordo non era certamente Nicolas Sarkozy che ha esercitato un’egemonia sulla prima fase della missione, con strappi che lasceranno qualche strascico nei rapporti con Roma. Il Cavaliere non vuole polemizzare con il presidente francese, ritiene che ora sia il tempo dell’unità. Certo il ministro Alain Juppé ha appena dichiarato che quello della Nato sarà solo «un coordinamento tecnico» mentre le decisioni politiche sulla missione verranno prese altrove. I distinguo francesi non saranno facili da archiviare e peseranno nella discussione che i capi di stato e di governo europei avranno oggi a Bruxelles. Ma su questo punto Berlusconi è netto: «Quella della Nato è un’assunzione piena di responsabilità. Ripeto, sono tutti d’accordo, c’è solo qualche resistenza da parte francese».







Le cronache di questi giorni sono piene di interrogativi su cosa può accadere in Libia dopo i primi raid aerei. Quanto dureranno le operazioni militari, è possibile una mediazione che spinga il Colonnello a lasciare il Paese? E non c’è il rischio che l’operazione ottenga solo risultati parziali o addirittura si trasformi in una sconfitta per la coalizione anti Gheddafi? «In questo momento nessuno può dire qualcosa di certo sugli esiti e sulla durata della missione - ragiona il premier italiano -. Mi sembra che ancora una mediazione non sia matura. La pensano così anche Vladimir Putin e personalità come l’ambasciatore libico Abdulhafed Gaddur che conosce bene la situazione a Tripoli. Gheddafi è ancora fiducioso di potercela fare perché ha il controllo pieno della capitale». Il premier italiano non ha avuto contatti con il Colonnello, con cui c’è stata per nove anni una lunga amicizia politica e personale. Ne conosce il carattere caparbio, soprattutto di fronte a quella che appare una sfida di vita o di morte. È convinto però che ci sia un passo decisivo che il Raìs deve compiere: l’accettazione del cessate il fuoco, la fine degli attacchi ai ribelli di Bengasi e delle altre città che si sono liberate del dominio di Tripoli. «Siamo tutti tesi a chiedere a Gheddafi un vero cessate il fuoco - dice Berlusconi - la fine delle ostilità da parte del Colonnello è la condizione sine qua non per ogni mediazione. Dopo si potrà aprire la fase della diplomazia».







Il Cavaliere è soddisfatto, dopo le tensioni con la Lega dei giorni scorsi, dell’accordo trovato nella maggioranza sulla risoluzione in nove punti che impegna il governo italiano nella crisi libica. Ci sono condizioni come quelle sul «ritorno più rapido possibile ad uno stato di non conflittualità» e sull’impegno dell’Unione Europea al «pattugliamento del Mediterraneo» contro l’immigrazione clandestina, particolarmente care al partito di Bossi. «È una mozione pienamente in linea con quanto pensa tutta la maggioranza. Domani (oggi per chi legge, ndr) sarò a Bruxelles e insisterò con i colleghi europei perché vengano accettati gli impegni previsti nel documento».

Berlusconi, dunque, non sarà in Parlamento per il voto sulla mozione, come richiesto dalle opposizioni e dallo stesso presidente della Camera Gianfranco Fini. «La situazione è ormai molto chiara, non ci sono novità che dobbiamo affrontare - spiega -. Il ministro degli Esteri Franco Frattini è perfettamente in grado di rappresentare il governo. D’altra parte io sono impegnato nel vertice dei capi di Stato e di governo dell’Unione e non posso mandare un altro al posto mio».







Le battute finali riguardano il rapporto con l’opposizione e la possibilità, ormai svanita, che su un tema così importante ci fosse un voto bipartisan in Parlamento. «Il centrodestra, quando era all’opposizione si è comportato in maniera diversa su temi così cruciali per il Paese - conclude il premier -. Ma ora abbiamo l’opposizione che abbiamo e non mi aspetto nulla di diverso. D’altra parte sono gli stessi che organizzano, dovunque io vada, squadre di contestatori che mi aspettano urlando "mafioso, mafioso". Il mio governo i mafiosi li sta arrestando come mai in passato, ha inasprito le norme per il carcere duro, ha sequestrato miliardi di beni alle cosche. E il mafioso sarei io?».







Stampato dal sito www.ilpopolodellaliberta.it

28 Marzo 2011

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