venerdì 11 marzo 2011

GIUSTIZIA: Ora pari diritti e pari doveri

GIUSTIZIA: Ora pari diritti e pari doveri

Sorpresa. Non per noi a dire la verità. La riforma della giustizia non riguarda neanche per un capello o cavillo i processi in corso. E’ stata votata dal Consiglio dei ministri e presentata dal ministro Alfano con Berlusconi al fianco, ed è sintetizzata da una vignetta elementare: la bilancia della giustizia oggi in Italia è fasulla, è – inevitabile il gioco di parole – sbilanciata. Una bilancia sbilanciata annulla la sua essenza. La riforma ha per scopo dunque di far essere le cose del mondo dei codici e dei processi quali devono essere, in base all’articolo 3 della Costituzione che vuole tutti uguali davanti alla legge.

Uguali, con pari diritti e doveri, identica possibilità di accusare e di difendersi, di cercare verità a sostegno delle proprie tesi: accusa e difesa, giudici e procuratori, avvocati e cittadini.

É dunque un grande disegno, una prova di visione larga, un’idea di giustizia giusta che muove dal presupposto di quale sia il compito della politica e dei governi espressivi della sovranità popolare: adempiere il bene comune, nella normale dialettica democratica, accettando con serenità gli alti lamenti di corporazioni e caste che vengono detronizzate rispetto a un potere che avevano indebitamente acquisito.

La reazione dei giornali è molto interessante. Il Corriere della Sera registra la vicenda con un titolo molto sereno: “Via libera del governo alla riforma”. Repubblica e quelli della sua corte sono lieti di annunciare la “Rivolta dei magistrati”. Interessante sapere che cosa sia costituzionale in questo caso, applicando logica e buon senso. Che cosa è nella linea della Carta e dello spirito dei padri costituenti?

Noi sappiamo bene che cosa non lo è, e deve riconoscerlo qualsiasi persona intellettualmente onesta. Di certo la rivolta di un ordine dello Stato contro il potere esecutivo legittimo è una rottura moralmente grave dell’equilibrio tra poteri e ordini stabilito dalla Costituzione. Invece è di sana e robusta costituzione un governo democratico che come tale chiede il voto del Parlamento alle sue proposte, e che adempie perfettamente la Costituzione annunciando il ricorso all’articolo 138. Curiosi questi presunti amanti della Costituzione. I Padri della medesima sarebbero stati perfetti, ma avrebbero sbagliato di grosso scrivendo e votando due articoli peraltro decisivi: il 68 che prescriveva l’immunità parlamentare a tutela proprio di possibili rivolte e vendette dei magistrati qualora si sentissero offesi da qualche legge sgradita; e il 138 che regola le modifiche della Costituzione stessa.



Il 68 è stato modificato da un Parlamento terrorizzato, ma di tornare alla volontà delle origini e degli equilibri è visto come la peste. E allora perché si innervosiscono all’idea di vedere adoperato in totale trasparenza l’art. 138? Secondo i magistrati, dice il Corriere della Sera sempre nel titolo di prima pagina, quelle contenute nel disegno di riforma “sono norme punitive”. Punitive di che cosa? Ma certo: dell’ingiustizia, degli errori marchiani di magistrati i quali hanno a che fare con i beni più preziosi che ci siano: la libertà personale e la reputazione dei cittadini. Chi sbaglia paga, non pare che questo principio di saggezza universale sia una norma anticostituzionale. O no?

Del resto a leggere alla lettera le reprimende delle toghe associate (molte altri giudici e pm sappiamo non essere d’accordo con il loro sindacato unico) si dovrebbe dare ai magistrati il potere di legiferare su se stessi, magari premiando gli errori purché ci sia buona volontà.



Intanto resta un dato di fatto, irrefutabile, che neanche Repubblica e i partiti di sinistra riescono a negare: questa riforma non tocca neanche di traverso i processi in corso. Ma forse i processi in corso contro Berlusconi permettono di capire che essi erano rappresaglie preventive per impedire all’unico premier che in Italia può riformare la giustizia di farlo. Calcolo sbagliato. La riforma si farà. La bilancia sarà aggiustata.

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