martedì 25 ottobre 2011

Perché la Francia non ride

FATTI & MISFATTI: Perché la Francia non ride



25 ottobre 2011 ore 15:00 Certamente, come ha sottolineato Berlusconi, l’ostinato diniego di Bini Smaghi ai ripetuti inviti a dimettersi dalla Bce per lasciare spazio ad un francese è motivo di forte irritazione per Sarkozy. Ma è anche vero che quel fatto da solo non spiega l’irridente quanto intollerabile teatrino del quale si è fatto protagonista verso l’Italia, i suoi cittadini e le sue istituzioni. Non è difficile individuare, dietro questa incredibile performance davanti alla stampa internazionale, la volontà di allontanare i riflettori dai problemi del suo Paese, segnatamente quelli del sistema creditizio, e da quelli politici e personali in vista delle elezioni.



Uno scaricabarile brandito come arma di distrazione di massa sull’Italia che, pur "colpevole" di un debito pubblico ereditato in toto dalla cosiddetta Prima Repubblica, ha forse il difetto di avere complessivamente una serie di fondamentali migliori di Parigi, di avere un governo che ha fronteggiato la crisi tenendo un comportamento più virtuoso nella gestione dei conti e attuando in estate due manovre da 60 miliardi nel quadriennio, senza iniettare - come ha fatto la Francia - sontuose risorse pubbliche a difesa degli asset industriali (vedi l’auto) e del sistema del credito (ultimo il salvataggio di Dexia).



Con le presidenziali alle porte e sondaggi assolutamente negativi (oltre dieci punti sotto il candidato socialista e soltanto dieci punti di vantaggio sulla destra della Le Pin), Sarkozy è attestato sulla trincea in difesa della tripla A di rating messa in forse da un sistema creditizio che è il più indebitato verso gli asset greci in compagnia di quello tedesco. Le banche francesi sono infatti esposte direttamente per 10 miliardi di euro e lo sconto ipotizzato del 50% del debito di Atene vale per Bnp Paribas, Crédit Agricole e Societé Générale la bellezza di una perdita di 5 miliardi. Allargando lo sguardo ai gestori di fondi, molti dei quali partecipati dalle banche, e alle esposizioni del settore privato si va ben oltre.



Tanto che Il Corriere della Sera si spinge a scrivere di una esposizione complessiva pari a 55 miliardi. Per dare un termine di confronto, il sistema creditizio italiano ha in pancia non più di due miliardi di titoli greci. E dunque cominciamo col dire che i 100 miliardi del fondo di ricapitalizzazione delle banche (nel quale anche l’Italia sarà chiamata a mettere del suo) è destinato a prendere in massima parte la strada di Parigi e di Bonn.



Altri elementi: tra il 2008 e il 2010 il rapporto debito/Pil francese è cresciuto del 14% in Francia e del 12,7% in Italia; l’indebitamento francese è schizzato all’81%; il debito nazionale lordo (somma di debito pubblico, privato, di imprese finanziarie e non) è al 352% contro il 337% dell’Italia; quello del solo settore privato al 274% contro il nostro 221%. Certo che l’Italia ha i suoi problemi ma la sceneggiata di Sarkozy a Bruxelles non nasconde ma anzi racconta meglio di ogni altra cosa quelle che sono le vere preoccupazioni di Parigi e quelle del suo personale futuro politico. Scrive Le Monde: "Avendo detto tutto e il contrario di tutto da quasi due anni, Merkel e Sarkozy hanno perso credito agli occhi dei mercati". Scaricare tutto questo sull’Italia è francamente inaccettabile.


La crisi si risolve con il consenso di tutti i governi

Non bisogna essere dei geni per capire, in un momento così delicato per l’intera Europa Germania e Francia incluse, che una crisi dell’economia occidentale si risolve solo con il concorso di tutti i governi. Servono a poco il sarcasmo fuori luogo franco-tedesco e le irresponsabili dichiarazioni della nostra opposizione dopo la conferenza stampa Merkel-Sarkozy. Non stupisce invece che il nostro premier tragga da questi episodi sconsolanti nuova energia e concretezza nell’individuare soluzioni troppo a lungo rinviate e non per sua responsabilità.



Ci riferiamo alla riforma delle pensioni che serve a "blindare" i conti pubblici per il futuro e le nuove generazioni, anche se non a fare cassa per abbassare il debito pubblico. Qui non si tratta di convincere un alleato importante ma di essere convinti noi che sia giunto il tempo di avere la capacità di spiegare al Paese ciò che è meglio (davvero) per tutti!



Per fare cassa e dare un immediato segnale di crescita occorrono le dismissioni sia di immobili pubblici, ancora non quantificabile, sia quella dei terreni agricoli che garantirebbero da soli tra i 5 e sei miliardi di entrate. Una voce molto fruttuosa riguarda la possibile tassazione dei capitali in Svizzera sulla quale il governo sta già lavorando e che frutterebbe 25 miliardi di euro. Scartata la patrimoniale così lontana dal nostro modo di pensare, in tema di liberalizzazioni si può riaffacciare l’ipotesi di abolizione o riduzione degli ordini professionali che sarebbe un elemento strutturale di grande impatto da accompagnare alle oltre cento agevolazioni per le imprese già previste dal Capo del governo entro questa settimana.



Se poi aggiungiamo i dieci miliardi di fondi europei non utilizzati che il ministri dell’Economia si è detto pronto a mettere sul tavolo nel cosiddetto piano EuroSud, si comprende che al nuovo vertice dei Capi di Stato e di Governo di mercoledì, l’Italia può avere tutte le carte in regola. Persino gli economisti del Corriere della Sera, i professori Giavazzi e Alesina ripropongono con forza due obiettivi che questo esecutivo ha già realizzato o mantiene in agenda…Tornare cioè alla formulazione originale dell’art. 8 della Finanziaria di agosto scritta da Sacconi, prima che fosse modificata su richiesta di Confindustria e Sindacati: dare maggiore libertà a imprenditori e lavoratori di fare, in caso di accordo, scelte a livello aziendale. Allargare infine la base imponibile riducendo l’evasione al fine esclusivo di ridurre le aliquote fiscali, in particolare sul lavoro.



La Merkel e Sarkozy vorrebbero scaricare i loro problemi interni sul nostro Paese, così come l’opposizione italiana (con un Pd a 17 correnti) vorrebbero addossare al premier le colpe di una stagnazione che non ha certo un solo responsabile.

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