domenica 2 dicembre 2012

L’“USCITA DI SICUREZZA”.


Dal Manifesto di PATRIA LAVORO E LIBERTA', movimento politico fondato dall'on.Giulio Tremonti, concludiamo la pubblicazione della prima parte del testo del documento   


                                             § 10. L’“USCITA DI SICUREZZA”.
Siamo ancora in tempo per la speranza, ma si deve cominciare subito.
Molto chiaramente abbiamo davanti due strade e possiamo solo scegliere quale delle
due percorrere:
a) la prima strada è quella tracciata e percorsa dal governo tecnico. Una strada che molti vogliono continuare ancora per i prossimi anni.
Per motivarlo, per motivarci si dice infatti che: “abbiamo fatto progressi impressionanti” (impressionanti, appunto… ma per chi impressionanti?); “abbiamo riconquistato la fiducia del mercato finanziario”; anche per questo “si vede la luce in fondo al tunnel”.
Come è evidente è, tutta questa, una logica mentale e comportamentale totalmente interna all’ingranaggio del mercato finanziario che solo l’estate scorsa è scattato sull’Italia: non ne rompe il gioco, all’opposto ne fa il gioco!
b) la seconda strada è diversa.
A differenza della prima, non è illusoria, non è attendista, non è fatalista. Ed anche per questo, soprattutto per questo, è molto meno rischiosa.
La prima cosa da notare è infatti che la cosiddetta fiducia del mercato finanziario, più che per l’azione del governo tecnico, è venuta sull’Europa, e dunque e di qui per riflesso è venuta anche sull’Italia, solo o soprattutto per effetto degli interventi finanziari fatti od annunciati in questi mesi dalla Banca Centrale Europea.
E dunque, quello di cui ora si parla, è un tipo di “fiducia” che può essere revocato dal mercato finanziario in qualsiasi momento e per qualsiasi causa o ragione.
Ad esempio può scomparire, se il mercato finanziario, scontando l’effetto BCE, torna a focalizzarsi sul caso-Italia, attirato dai dati negativi sulla nostra recessione e/o sulla nostra non-crescita.
Ad un certo punto c’è in specie il rischio che ci si dica che (i) con il nostro “strutturalmente insufficiente” ritmo di crescita economica, (ii) il nostro debito pubblico è di conseguenza insostenibile!
Questo rischio è purtroppo molto più reale di quanto si immagina!
Naturalmente, nel caso, il governo tecnico potrebbe chiedere l’“aiuto” europeo.
Ma questo comunque non ci salverebbe, potrebbe solo spostare un po’ più in là nel tempo i problemi.
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In ogni caso, nel durante, dovendo soddisfare le condizioni richieste per l’aiuto, si accentuerebbero in Italia la crisi economica, la crisi sociale e la crisi politica, e per questo continuerebbe il logoramento del nostro paese, a vantaggio dell’estero.
All’inizio, l’Italia poteva barcamenarsi tra la padella del deficit pubblico e la brace del prodotto interno lordo.
Prima si diceva che l’Italia andava bene sul deficit (il numeratore), ma che doveva fare di più sul PIL (il denominatore).
Ora vanno male tutti e due!
E’ la padella che è infatti caduta direttamente nella brace. Ed è per questo che ora troppi dati negativi, insieme sul deficit e sul PIL, possono allarmare il mercato finanziario, allarmarlo appunto sull’ipotesi di non sostenibilità del nostro debito pubblico.
E’ per questo che oggi, che ora, si deve fare qualcosa di diverso e di più:
a) primo, dobbiamo gestire diversamente il nostro debito pubblico: non continuare come finora, come se nulla fosse: “business as usual”.
Come se la crisi fosse finita, come se il pericolo fosse scampato, solo restando in fiduciosa attesa della buona volontà del mercato finanziario.
All’opposto, è con i nostri mezzi, e non aspettando qualcosa da fuori, che possiamo e dobbiamo mettere in sicurezza il nostro enorme debito pubblico;
E questa è la prima parte della strada, quella che ci porta all’“uscita di sicurezza”.
b) secondo, su questa base di fiducia, dobbiamo e possiamo rivitalizzare davvero la nostra economia.
E questa è la seconda parte della strada che va fatta, oltre l’“uscita di sicurezza”, verso la ripresa.
Perché si deve cambiare? Perché finora la ripresa è stata affidata alla tecnica della distruzione creatrice applicata “scientificamente” all’economia italiana dal governo tecnico: “… le nostre decisioni hanno contribuito ad aggravare la congiuntura economica già difficile. Solo uno stolto può pensare che sia possibile agire su un male strutturale italiano senza determinare nel breve periodo un aggravamento” (sic!).
(N.B. Ma allora, se “ex ante” per i non stolti era tutto già così logicamente prevedibile e previsto…perchè “ex post” le stime economiche, prima ottimiste, sono poi state così frequentemente e pesantemente corrette al ribasso dal governo stesso?).
Distruzione creatrice? Forse più distruzione che creatrice!
In realtà il governo tecnico ha fatto e fa come quel coltivatore che, dopo avere diligentemente seminato e concimato il campo, toglie l’acqua e si siede… aspettando fiducioso il raccolto.
In realtà, un conto è tassare il reddito prodotto. Un conto è impedire, con le tasse, che il reddito sia prodotto!
Un conto è liberalizzare, un conto è spaventare. Se fatte insieme, l’una sull’altra, le due azioni si annullano reciprocamente!
E’ così che si rischia di creare il doppio effetto “Hoover-Default” (Hoover, il Presidente della “Grande depressione” americana del 1929).
Prima si stringe il cappio al collo dell’economia e poi si rischia che, siccome l’economia non cresce, il mercato finanziario arrivi a pensare che il nostro debito pubblico è troppo grande per essere ripagato con questo PIL, negativo o comunque debole anche in futuro, e perciò ci si manda in “default”!
O, ciò che da fuori è ancora più conveniente, si minaccia di farlo, si aumentano le nostre difficoltà, per arricchirsi, per portarci via le nostre cose migliori.
Si è premesso che c’è comunque un primo tratto di strada, una prima cosa che si deve e si può fare, e che va fatta subito: mettere in sicurezza il nostro debito pubblico e così mettere in sicurezza l’Italia.
E’ la prima cosa da fare ma, se ci fate caso, non ne parla nessuno!
Per la verità c’è chi parla (i) di (s)vendere per 400 miliardi di euro il nostro patrimonio pubblico (più varie inventate frattaglie svizzere: con le banche svizzere che generosamente verrebbero a pagarci l’IMU!) e (ii) di farlo per abbattere in pari ammontare il debito pubblico, (ii) così da potere poi ridurre anche le tasse (sic!).
E’ bene essere chiari: il patrimonio pubblico può certo e deve essere venduto, ma quello da 400 miliardi di euro è, come vedremo, un piano elettorale truffaldino, di per sé per fortuna comunque irrealizzabile!
Per fortuna irrealizzabile, perché se fosse un piano davvero realizzabile, per effetto della sua realizzazione i residui titoli del debito pubblico, titoli che tanti italiani hanno ancora in tasca,così privati della loro originaria sottostante garanzia patrimoniale, diventerebbero “titoli spazzatura” e di colpo la speculazione finanziaria ci devasterebbe.
Fuori da questa ipotesi (truffaldina), se li leggete, se li ascoltate i programmi dei partiti e dei movimenti che già ci sono, o che si stanno mettendo in campo, contengono i più vari e diversi obiettivi, si protendono verso i più vari e diversi fini: rigore con le sanguisughe; riduzione delle tasse; proclami e ricette miracolose per la crescita e per la ripresa dell’economia, liberalizzazioni, riforme costituzionali per governare meglio (!) l’Italia, riduzione della burocrazia, giustizia, intercettazioni, famiglia più o meno “orizzontale”, etc.
Ebbene, a prescindere dal loro contenuto di merito specifico, tutti questi sono obiettivi o fini impossibili da realizzare.
Impossibili da realizzare, per una ragione molto semplice.
Perché, se prima e per prima e subito non si rimuove la causa della crisi… nel frattempo saremo tutti perduti!
Pensare di attuare quei programmi è infatti come riordinare il mobilio, o litigare sul mobilio, o sui lavori di ristrutturazione, mentre la casa crolla.
Mentre la casa crolla sotto i colpi di ariete della crisi!
Il tempo è strategico e, per l’Italia, il tempo è diventato brevissimo.
E’ per questa ragione che, a differenza degli altri partiti, a differenza degli altri movimenti, qui si propone prima di tutto una operazione mirata a mettere in sicurezza il nostro debito pubblico.
Non è che dopo si entra nel “Paese di Bengodi”, non è che dopo si può allentare il vincolo di bilancio.
E’ che, senza questo, non c’è un dopo!
Una operazione, come la messa in sicurezza del nostro debito pubblico, è da fare non con
il bastone delle tasse e non con la forza che si vorrebbe applicata ad un prestito forzoso, non tenendo gli italiani per anni nella incertezza e nella paura paralizzante di una nuova, aggiuntiva e demenziale, e comunque controproducente per il paese, imposta patrimoniale.
Ma bloccando all’origine l’epidemia, bloccando la speculazione sulla nostra porta di casa: lasciarla fuori, via via sottoscrivendo noi la quota attualmente in mani estere del nostro debito pubblico, così da chiudere il canale attraverso cui importiamo in presa diretta proprio quella speculazione finanziaria che ci ha destabilizzato e che continua a destabilizzarci.
Siamo seri, fino a che dura il contagio della speculazione finanziaria, ogni cosa che in Italia si pensa di fare di nuovo, in termini di “riforma, è come costruire sulla sabbia!
Gli altri partiti, gli altri movimenti guardano dunque a tutto, e parlano di tutto, tranne che dell’essenziale!
Vogliono i vostri voti, ma non sanno neppure da che parte cominciare per darvi il bene più prezioso, in tempo di crisi: la sicurezza!
Nell’affrontare il nostro destino, nel determinarlo, dobbiamo per contro avere ben chiaro che oggi l’alternativa non è tra destra e sinistra, tra rigoristi e sviluppisti, tra monetaristi e keynesiani, tra regionalisti e centralisti, tra nord e sud, ma tra quelli che sono rassegnati a subire e quelli che sono decisi a cambiare in meglio il corso delle cose.
Decisi davvero, e non con le tasse (come ha fatto il governo tecnico!), a salvare l’Italia. In specie:
- o “padroni a casa nostra”, padroni del nostro paese, del nostro presente e del nostro futuro, dei nostri sogni, della nostra casa, dei nostri risparmi;
- o colonizzati perché “debitori”. Debitori tanto del mercato finanziario quanto degli Stati stranieri, che si sono rivelati capaci di usare a loro vantaggio la nostra debolezza. E così appunto nuovamente destinati ad essere calpesti e derisi.
Nel fare quanto segue si andrà contro, e si avrà certamente contro, la “lobby” della finanza internazionale. Saranno contro anche le sue filiali italiane.
Una “lobby” che dirà e farà tutto il possibile contro.

Pazienza. La ragion d’essere dell’Italia come Stato nazionale non può esaurirsi nella esecuzione dei diktat imposti dal mercato finanziario e per lo sviluppo dei loro interessi, non può ridursi nella compilazione di “compiti a casa”, prima benevolmente scritti dai nostri “partner” europei e poi vigilati dai loro fiduciari domestici.
Dunque, cosa fare in concreto per metterci in sicurezza?
Si ripete: non si può continuare a gestire il nostro debito pubblico con la logica del “business as usual”, o con poche varianti, come finora, nell’illusione che la crisi sia finita, che il pericolo sia scampato.
La gestione del nostro debito pubblico va invece sostanzialmente riorganizzata, a fronte del perdurare della crisi, proprio perchè c’è la crisi.
Torniamo all’essenziale: è attraverso la quota in mani estere del nostro debito pubblico che importiamo in presa diretta la speculazione finanziaria.
E’ per questo ed è per questa via che da un anno - ma davvero un lunghissimo anno - siamo costretti a subire tanto la speculazione finanziaria, marcata dalla sirena ansiogena ed ossessiva degli “spread”, quanto la competizione che gli altri Stati stanno di riflesso facendo sull’Italia, prima per batterla e poi per comprarla, per colonizzarla.
Fino a che dura tutto questo, se non si ha ben presente tutto questo, si continua a parlare ed a sprofondare… pur con la maggiore possibile buona volontà!
E tuttavia dobbiamo e possiamo uscire dalla doppia trappola in cui siamo caduti. Una doppia trappola che si ripete è fatta da speculazione finanziaria+competizione internazionale.
Il problema non è uscire dalla globalizzazione in sé, ma cambiare il modo in cui la globalizzazione finanziaria è di colpo entrata in Italia, in casa nostra!
Dobbiamo e possiamo farlo, non per uscire dal mercato, ma per restarci.
Dobbiamo e possiamo farlo, non per uscire dall’Europa, ma per restarci e per restarci sulle rinnovate posizioni di parità, posizioni che da sempre ci competono!
Non contro l’Europa, che vieta gli aiuti di Stato, ma per l’Europa che non vieta agli Stati di aiutarsi per salvarsi!
Dobbiamo e possiamo farlo, non per fare protezionismo, ma all’opposto solo per
proteggerci contro la forza della speculazione finanziaria.
Per fare tutto questo dobbiamo prima cambiare punto di vista, perché complessati, passivi e fatalisti, siamo da troppo tempo abituati a considerare che tutto quello che fatalmente, ineluttabilmente arriva sull’Italia dal mercato finanziario è fuori dal nostro controllo.
E’ così, ma fino ad un certo punto. E’ così…. ma solo se siamo noi che lo vogliamo!
Le cose sono in realtà, e per fortuna, molto diverse e migliori!
Basta avere la voglia di vederle: l’Italia importa sì debito, ma esporta anche risparmio!
L’Italia ha un enorme patrimonio pubblico e privato e gli italiani hanno sotto i piedi uno dei più grandi giacimenti di risparmio del mondo!
In particolare l’Italia:
a) certo importa debito pubblico, dall’estero (sono in specie in mani estere 800 miliardi di euro, pari al 40% della massa del debito pubblico italiano, a sua volta pari a 2 trilioni di euro); ma
b) esporta risparmio, esporta denaro, esporta capitali che in base alle norme europee vengono dagli italiani legalmente investiti all’estero. Una esportazione che proprio negli ultimi mesi ha avuto una fortissima accelerazione, nella convinzione che portare fuori dall’Italia ed investire fuori dall’Italia il proprio risparmio sia più redditizio o più sicuro o tutte e due le cose insieme.
(N.B. Qui di seguito si tratta comunque solo dell’esportazione legale, non dell’esportazione illegale dei capitali, che pure è enormemente cresciuta nel 2012!).
Ma siamo davvero sicuri che oggi investire all’estero sia davvero più redditizio e più sicuro?
Cominciamo dal più “redditizio”.
A questo proposito va notato che ai quattro angoli del pianeta, dall’Argentina all’Islanda, dall’Irlanda ai misteriosi pacchetti di investimento nei paesi emergenti, del risparmio italiano si usa fare falò.
O che, quasi per ironia, lo si usa come una specie di bancomat per la sua speculazione,
una speculazione che certo non trascura neppure l’Italia!
E poi siamo sicuri che quelli fatti all’estero siano davvero investimenti “più sicuri” di quelli fatti in Italia?
In realtà nel mondo (finanziario) globale tutto è connesso e dunque se per ipotesi, sotto l’attacco della speculazione finanziaria (un attacco favorito anche dal deflusso di capitali dall’Italia), saltasse l’Italia, allora… salterebbe anche il mondo!
Perfino la Grecia è troppo grande per saltare, figurarsi l’Italia!
In realtà, un conto è colonizzare un paese, un conto è farlo saltare.
Farlo saltare è un costo per tutti.
Colonizzarlo conviene invece e molto a chi ha l’opportunità ed i mezzi per farlo!
E’ così che, se la crisi continua, se continua il logoramento dell’Italia, tutto ciò (i) avvantaggia chi, da fuori, specula sull’Italia o vuole comprarsi pezzi d’Italia (ii) mentre simmetricamente impoverisce noi, perché causa la progressiva caduta di valore di tutti i beni posizionati in Italia.
Dipende dunque solo da noi: è meglio investire in Italia che all’estero!
Se si investe in Italia, si salva l’Italia. E se si salva l’Italia, ci salviamo anche noi!
Non è neppure necessario che tutto il flusso di risparmio italiano verso l’estero si interrompa, basta che il flusso rallenti1
Complementarmente e/o parallelamente è infatti sufficiente che una quota un po’ maggiore dell’attuale del risparmio italiano rimasto “Italia su Italia”, si indirizzi sul nostro debito pubblico.
Un debito pubblico che sarebbe così reso ancora più sicuro, proprio dall’operazione qui esposta.
Non si deve usare il bastone, si ripete. L’operazione da fare non è e non può essere forzosa, non può essere fiscale o punitiva o coercitiva.
Operazioni di questo tipo non sono solo negative, sono distruttive. Come insegna
l’esperienza di quest’anno, il vero “salva-Italia” non è quello appena fatto, aumentando le tasse!
Il vero “salva-Italia” è invece il “COMPRA –ITALIA”!
L’operazione che dobbiamo fare deve essere –si ripete- basata, più che sulla forza bruta, sulla forza della ragione.
Per questo deve e può essere solo volontaria, basata sull’offerta, per libera sottoscrizione, di nuovi titoli pubblici, emessi per scadenze e per tassi ragionevoli.
Un po’ più bassi i tassi, un po’ più lunghe le scadenze, ma sicure di una sicurezza che è impagabile e che dobbiamo essere noi stessi a produrre!
Qui è soprattutto importante notare che, nella logica di un’operazione così strutturata e finalizzata, i soldi restano nelle tasche degli italiani e restano in Italia e sono qui bene e convenientemente e sicuramente investiti, qui più che all’estero.
Si tratta – si ripete - di una di quelle operazioni che si auto-determinano, che si auto-realizzano automaticamente e si auto-stabilizzano, man mano che si sviluppano nel crescendo della loro propria forza intrinseca.
Per incentivare l’investimento è essenziale un regime fiscale e premiale.
Per questo come è stato in Italia, per decenni e decenni (e fino agli anni ’80), i nostri nuovi titoli pubblici devono tornare ad essere: “ESENTI DA OGNI IMPOSTA PRESENTE E FUTURA”!
Esenti tanto sui frutti, quanto sul patrimonio!
All’opposto, oggi noi tassiamo il nostro debito pubblico in capo agli italiani, mentre…. detassiamo gli stranieri!
Se del caso, si può anche offrire ai sottoscrittori un ulteriore “bonus” esentasse (anche come “earn out” finanziato con i possibili proventi da cessioni patrimoniali).
Se necessario, per influire positivamente sul sistema finanziario italiano, potrebbe anche cambiare, a favore dei risparmiatori-investitori, il sistema di calcolo delle commissioni che i gestori mettono a carico dei risparmiatori-investitori: non più, come ora, commissioni calcolate in percentuale sulla somma gestita… ma per il futuro commissioni calcolate in percentuale sul risultato reale netto ottenuto.
Si vedrà così che anche i gestori avranno convenienza a consigliare investimenti sicuri e con reddito certo, proprio come quelli delle nuove emissioni “COMPRA-ITALIA”!
Se l’operazione parte bene, il debito pubblico in mani estere non dovrà neppure essere tutto escluso.
Anzi, se resta una quota estera, proprio per dimostrare che l’Italia ha fiducia e dà fiducia, la quota estera residua può essere, per attrazione, privilegiata.
Per contro, come premesso, il propagandato “(s)vendi-Italia”, da realizzare con un colpo da 400 miliardi di euro, non ci salverebbe, ma ci distruggerebbe.
Infatti non esistono, se non nella fantasia della propaganda elettorale, operazioni colossali e miracolose di abbattimento del debito pubblico, realizzabili (s)vendendo il patrimonio pubblico + frattaglie varie che dovrebbero (?) arrivare dalla Svizzera, così che alla fine si potrebbero pure ridurre le tasse!
Si ripete, il patrimonio pubblico va certo venduto, ed una parte del ricavato può certo essere usata per rendere più appetibile, sotto forma di bonus o di “earn out”, il rendimento del “COMPRA-ITALIA”.
Ma il “COMPRA-ITALIA è l’unico piano che può funzionare, perché invece quello da “400” miliardi è solo un inganno elettorale, per le seguenti ragioni:
a) perché 400 miliardi di euro di patrimonio pubblico non ci sono, sono calcolati alla carlona! La sinistra parla di 200 miliardi di euro; la Confindustria parla di una modesta riduzione del debito pubblico, possibile “…entro il 2020” il governo tecnico si avvia verso 10 miliardi, forse, quest’anno;
b) comunque, se anche ci fossero, non si troverebbe chi compra;
c) e, se anche si trovasse chi compra (impossibile), il prezzo lo farebbe comunque lui, il fantomatico acquirente, e dunque con effetto di svendita e di impoverimento ulteriore dell’Italia;
d) soprattutto, infine, se anche l’operazione fosse realizzabile, verrebbe realizzata sottraendo il grosso degli elementi patrimoniali e reddituali che sono la base di garanzia del debito pubblico che c’è adesso (2 trilioni di euro), e comunque della quota enorme di debito pubblico (1,6 trilioni di euro) che comunque resterebbe anche dopo l’abbattimento da 400 miliardi!
Una quota enorme del debito pubblico italiano verrebbe così di colpo privata di tutte le sue vere attuali garanzie di base e verrebbe così automaticamente espressa in “titoli spazzatura”!
Questa è in specie la ragione definitiva per rifiutare il ritorno del tipo di politica economica che abbiamo già visto alla prova, nell’estate dell’anno scorso!
All’opposto, il “COMPRA-ITALIA” può essere qualcosa di più di una operazione finanziaria: può essere una base di ripartenza, un simbolo di riscossa nazionale.
E del resto, se noi non ci fidiamo di noi, perché gli altri dovrebbero fidarsi di noi?
E’ per questo che dobbiamo e possiamo stabilizzare il nostro debito pubblico, ricrearne le basi di sicurezza, evitare la colonizzazione, riacquistare sovranità e dignità nazionali e personali ed infine ripartire con orgoglio.
Si dirà che fare così è come tornare agli anni Settanta od Ottanta, che fare così è fare come il Giappone!
In particolare è stato scritto (i) che l’Italia, a differenza della Spagna, potrebbe davvero fare il “COMPRAITALIA”, essendoci tutti i presupposti economici per farlo, (ii) ma che farlo sarebbe appunto come tornare indietro negli anni e fare come il Giappone.
In specie è stato scritto (Alesina, Giavazzi, Corriere della Sera, 1 agosto 2012)che così:
“accadeva negli anni Settanta in Italia, ma a quel punto diventeremmo come il Giappone… un Paese che da venti anni ha smesso di crescere. Non certo un esempio da seguire”.
A parte che la storia del Giappone è un po’ più complicata, siamo proprio sicuri che gli anni Settanta (per altri versi in effetti non felicissimi), siano davvero stati anni di non crescita? E che sia lo stesso per gli anni Ottanta?
Siamo proprio sicuri che restare esposti agli eccessi del mercato finanziario faccia davvero bene all’Italia?
E siamo infine sicuri che il Giappone vada poi così male?
Non è affatto così.
Negli anni Settanta, dal 1971 al 1980, l’Italia è cresciuta mediamente del 3,8% (la Francia del 3,7%; la Germania del 2,9%, etc).
Negli anni Ottanta, dal 1981 al 1990, l’Italia è cresciuta del 2,4%, la Francia del 2,4%, la Germania del 2,3%!
Nel 2010 il Giappone è cresciuto al 4%, più di USA, Germania, etc. E dopo il terremoto del 2011 ha per sempre ripreso a crescere (comunque, per maggiori informazioni sul Giappone, se interessati, si veda la SCHEDA N. 8 sul sito www.listalavoroliberta.it).
Dunque, gli anni Settanta, gli anni Ottanta, ed il Giappone… non sono affatto peggio di quel che quest’anno ha portato all’Italia con questo governo; non sono affatto peggio di quello che ci attende per il futuro, se non si fa qualcosa di diverso.
In sintesi: serve una regia che convinca. Abbiamo ben chiaro infatti quanto è strategica l’opinione pubblica nell’economia di questo tipo di operazioni.
Abbiamo ben chiaro quanto è importante convincere l’opinione pubblica, mobilizzarla, ispirarla e trasmetterle fiducia. Come si dice, quanto è importante fare “marketing”.
Sappiamo bene che le lobby finanziarie, potenti e varie forze, ma sempre in conflitto di interessi, agiranno contro!
Naturalmente serve fare “moral suasion”, una qualche opera di “convinzione” sugli enti pubblici italiani e sul nostro sistema bancario e finanziario italiano (come del resto, senza dirlo, si fa dappertutto in Europa!).
E’ necessario convincere tutti questi soggetti a cambiare certe abitudini.
Usano dirci, dalla Germania soprattutto, che in Italia possiamo farcela da soli!
Bene, è vero! Ma allora facciamolo a modo nostro, senza più farci condizionare e ricattare!
In specie, nessun piano economico può essere solo un piano economico; nessuna manovra economica può essere sviluppata solo dal lato dell’economia.
E’ anche per questo che la soluzione non può mai essere solo tecnica. Deve essere soprattutto politica.
Se una manovra è fondamentale e vitale, proprio come questa che si dovrà subito fare in Italia, allora è fondamentale che gli italiani non la sentano solo come una (pur molto conveniente, rispetto alle altre) operazione economica, ma anche come la proiezione patriottica, comunitaria e sociale del loro essere parte del paese!
Perché funzioni, ed è vitale che funzioni, gli italiani devono infatti capirla proprio in questo modo, devono crederci: credere insieme nel proprio bene e nel bene comune.
L’azione deve essere, ed essere presentata, come risolutiva. Ed è risolutiva, perchè si batta dell’unica azione-base necessaria all’Italia come un “primum vivere”.
Se si mette in sicurezza il debito pubblico, si mette in sicurezza l’Italia.
Se no, è no, tanto per il debito pubblico, quanto per l’Italia!
Prima di tutto, sopra tutto, dobbiamo dunque– si ripete - tornare ad essere “padroni a casa nostra”.
Se ci si riesce, tutto il resto diventa possibile, a partire dagli obiettivi di questo “MANIFESTO”.
Ed è su questa base che l’Italia può crescere, migliorare, risalire nella competizione internazionale.
Se invece si parte dal resto, dai più vari e diversi obiettivi ed intenti di riforma generale o particolare, formulando le più varie promesse, si ingannano gli italiani, perchè si costruisce sulla sabbia.
Seguendo i programmi degli altri partiti e movimenti, ci si deve perciò rassegnare all’idea che siamo di nuovo “calpesti e derisi”.
Naturalmente non basta il “COMPRA-ITALIA”. Ma questa è davvero la sola base sui cui davvero si può e si deve ripartire per costruire.
Se si è d’accordo su questo punto preliminare, si può proseguire nell’analisi sul “che fare”, dopo.
Dopo la messa in sicurezza del nostro debito pubblico, che fare per fare la seconda parte della strada: per rivitalizzare davvero l’economia, per riformare ciò che davvero va riformato. Tutto ciò che, su questa nuova base di sicurezza, può davvero essere riformato.
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