mercoledì 29 settembre 2010

Manifesto per i 140 anni di Roma Capitale

 Roma - 17.09.2010


XX SETTEMBRE 1870 - XX SETTEMBRE 2010

MANIFESTO PER I 140 ANNI DI ROMA CAPITALE

L'anniversario di Roma capitale è un'occasione per rilanciare il significato e il valore dell'identità nazionale e civile del nostro paese e il ruolo insostituibile di Roma come capitale d’Italia. Non vogliamo celebrare questa data per rispolverare una retorica oleografica sempre meno sentita dalla popolazione; ma vogliamo rilanciare, nel ricordo della proclamazione di Roma Capitale, l'idea di Roma e dell'Italia nella storia, nel presente e nell'avvenire.

Per questo lanciamo un manifesto di memoria e prospettiva.


L'avvento di Roma Capitale d'Italia portò a compimento l'unità nazionale su tre punti essenziali:

1) Furono ricongiunti il Nord e il Sud d'Italia e quella che era apparsa una conquista piemontese della Nazione, diventò a Roma un compiuto processo di integrazione nazionale.

2) Approdando a Roma, il Risorgimento si annodò alla storia e alle radici romane, medievali e rinascimentali. A Roma l'Italia unita scoprì le sue origini e riconobbe il suo lungo cammino storico, nel nuovo orizzonte rivoluzionario di libertà e di riconoscimento dei diritti fondamentali della persona umana.

3) Con la proclamazione di Roma capitale si gettarono le basi per una controversa ma necessaria unificazione della coscienza civile e della coscienza religiosa del paese. La capitale d'Italia coincide con la capitale mondiale della cristianità; e questo duplice, straordinario statuto pone non pochi problemi, travagli e conflitti, ma è una speciale ricchezza che rende Roma città unica al mondo. Roma è anche la sede della più antica Comunità ebraica del mondo che, con la breccia di Porta Pia, cominciò il suo lento e travagliato percorso di piena integrazione nella comunità cittadina.


Se il Risorgimento fu il coronamento di un bisogno di identità e di libertà, l'epopea di un cammino che era stato annunciato da secoli, in grandi opere letterarie e civili, in sogni romantici e profezie politiche, l'evento del XX settembre fu il compimento di quell'unità e la piena realizzazione di un disegno nazionale. Roma non poteva negarsi all'Italia e l'Italia non poteva mancare a Roma. Qualunque sia la sensibilità storica e civile dei romani e degli italiani, il loro credo religioso e civile, si deve riconoscere che l'unità nazionale e l'avvento di Roma capitale costituirono un necessario ritorno alla realtà e la realizzazione di un ideale a lungo vagheggiato e perseguito. Proprio per renderla viva e non retorica, dobbiamo però avere l'onesto realismo di riconoscere che dal processo unitario restarono in larga parte fuori tre mondi cospicui: il mondo contadino, il mondo cattolico e il mondo meridionale. Tre mondi che vissero il Risorgimento con ostilità, in minor parte, e con estraneità, in maggior parte. Non mancarono certo cattolici liberali che abbracciarono l'ideale risorgimentale e se ne fecero fattivi portatori; né patrioti meridionali che vollero l'Italia unita, già dai tempi della Carboneria fino allo sbarco dei Mille. Ma si deve obiettivamente riconoscere che il processo risorgimentale avvenne con l'esclusione e l'autoesclusione di gran parte dei cattolici, dei meridionali e del mondo rurale. Del resto quasi tutti i processi storici di indipendenza nazionale, sono stati innescati da minoranze attive; spesso i popoli, le masse, i contadini non hanno attivamente partecipato alla nascita delle nazioni moderne.

Vogliamo perciò rileggere il processo unitario in chiave inclusiva, cogliendo anche le ragioni e le passioni di coloro che difendevano una loro idea di patria e fedeltà o che avevano ancora viva memoria dei massacri compiuti al Sud dopo la rivoluzione napoletana del 1799 delle popolazioni che non abbracciarono l'idea di una repubblica giacobina. E' tempo di integrare a pieno titolo nella storia, nella cultura e nell'identità italiana anche la critica al Risorgimento di estrazione cattolica e meridionale, asburgica e borbonica, socialista e localista. Perchè l'Italia è figlia anche di coloro che non aspirarono all'unità ma contribuirono ugualmente col sangue, il lavoro e l'intelligenza a costruire la sua identità e la sua civiltà.

Le istanze di chi rimase emarginato o sconfitto dal processo risorgimentale, si devono misurare con gli ideali e con la passione di tutti coloro che nel Risorgimento videro il processo storico necessario non solo per affermare l’Unità nazionale contro ogni forma di sudditanza e di colonizzazione, ma soprattutto per portare nelle regioni italiane gli ideali di libertà, di cittadinanza e di partecipazione democratica. Ideali repubblicani che seppero trovare un compromesso con la più dinamica delle corone italiane, quella dei Savoia, e con i liberali moderati che ebbero in Camillo Benso Conte di Cavour il più alto e significativo esponente. Pensiamo in particolare a quei giovani che offrirono la loro vita all'ideale risorgimentale, in un grande empito di passione liberale e patriottica, studenti e lavoratori che militarono in organizzazioni come la Giovine Italia e combatterono per dare all'Italia un destino di unità nazionale e di libertà per tutti i cittadini.

Entrambi questi fronti guardavano, più o meno consapevolmente, a Roma come punto di sintesi e come più alto riferimento. A Roma, sede del Papato e prima ancora dell’Impero, si ispiravano i conservatori, i cattolici, le masse contadine. A Roma puntavano le avanguardie risorgimentali e garibaldine come obiettivo ultimo dell’Unità nazionale e come simbolo più alto dei valori repubblicani. Come non ricordare l'ardita opera risorgimentale preceduta a Roma dal sogno mazziniano della Repubblica romana, animato da un fervore ideale di libertà, di giustizia sociale e di amor patrio. E' da Roma che si irradiarono nel mondo la Civiltà del diritto e del lavoro, il senso dello Stato e le virtù repubblicane, che divennero poi modello universale.

Con lo spostamento a Roma del Governo italiano e dei ministeri, il Sud entrò di fatto nella vita pubblica e istituzionale del nostro paese: un ceto ministeriale costituito in origine dall'apparato burocratico e militare piemontese, venne gradualmente integrato e sostituito da una larga affluenza di siciliani e campani, di pugliesi e lucani, di abruzzesi e molisani, di sardi e calabresi. Nasce con i meridionali a Roma la prima borghesia di Stato rappresentativa di tutte le regioni italiane, costituita da dipendenti pubblici, prefetti, militari e forze dell'ordine, insegnanti e funzionari. L'affluenza nella Capitale di italiani venuti dalle province produce un massiccio fenomeno migratorio che ridisegna - anche se in modo caotico e contraddittorio - l'assetto urbanistico e civile di Roma. Dopo la Roma dei Cesari e la Roma dei Papi, nasce la Roma dello Stato unitario.

Questo patrimonio di umanità, di civiltà e di storia non può essere dissipato o disprezzato. Con Roma Capitale l'Italia ha vissuto per centoquaranta anni un processo di sviluppo e di modernizzazione senza precedenti: dall'istruzione di massa alla crescita economica e sociale del Paese, dalla partecipazione democratica di popolazioni tenute fuori per secoli dalla vita pubblica all'integrazione di gruppi, ceti, regioni, culture diverse in una stessa prospettiva statale e nazionale. L'Italia passò nell'arco di pochi decenni da paese agricolo a uno dei paesi più industrializzati del mondo. Non dobbiamo ora ricordare solo le sacche di parassitismo, privilegi e malaffare che pure sono cresciute all'ombra dello Stato centrale e della Roma ministeriale. Roma è il perno insostituibile dell'identità italiana, il suo necessario coagulo e punto d'incontro tra Nord e Sud, tra anima rurale e anima industriale, tra religione e cittadinanza, tra Europa continentale e Mediterraneo.

Celebrando i 140 anni di Roma Capitale e il prossimo anno i 150 anni dell'Unità d'Italia, non vogliamo limitarci a ricordare l'evento trascorso e le glorie del passato. Dobbiamo invece proiettare l'identità romana e italiana nel nostro scenario presente e futuro, considerare la necessità di integrare chi oggi affluisce a Roma intorno ad un'identità forte, libera e aperta, che non si vergogna delle proprie origini e che proprio perchè salda nella propria identità, è in grado di confrontarsi con chi viene da lontano e accetta e rispetta chi sa accettare e rispettare le sue leggi, i suoi cittadini, la sua civiltà. Il rispetto delle culture e delle identità religiose comincia a partire dal rispetto verso la propria.

Dobbiamo infine passare dalla celebrazione della nazione unita alla riscoperta della civiltà italiana, romana, cattolica e mediterranea. E dobbiamo saper ricucire definitivamente la “ferita necessaria” di Porta Pia, ricongiungendo simbolicamente e realmente la Roma cattolica con la Roma civica. Una ferita che, più volte rimarginata, più volte si è riaperta. Bisogna restituire Roma a tutta la sua civiltà, che fu repubblicana e imperiale, ebraica e cristiana, laica e cattolica, per costituire una cittadinanza condivisa ed una religione civile, liberamente ispirata ai principi e ai valori della religione millenaria degli italiani, ma capace di diventare modello di convivenza con tutte le identità.

La memoria del XX settembre deve essere patrimonio di tutti, accanto alle altre date fatidiche in cui fu istituita Roma capitale: quando Roma fu proclamata capitale, il 27 marzo del 1871; quando il Capo dello Stato, il Re Vittorio Emanuele II, si trasferì al Quirinale in Roma (3 luglio 1871) e quando il Parlamento italiano si riunì per la prima volta in seduta solenne a Roma, il 27 novembre del 1871. Con il XX settembre, come ricordò Prezzolini, anche la Chiesa si liberò dalle incombenze del potere temporale e dai limiti angusti di un regno. Sulla scia di Giovanni XXIII che aveva benedetto l'Unità d'Italia in occasione del centenario, Paolo VI condivise questa riflessione in occasione del centenario del XX settembre. In Campidoglio, già nel 1961, quando era ancora cardinale, il futuro Papa Montini affermò: «La Provvidenza, quasi giocando drammaticamente negli avvenimenti, tolse al papato le cure del potere temporale perché meglio potesse adempiere la sua missione spirituale nel mondo».

L'Unità d'Italia è un valore e un'eredità che non vogliamo perdere ma che dobbiamo rigenerare e rilanciare. Un'identità matura, viva e aperta, che sappia navigare nell'epoca della globalizzazione senza vergognarsi di essere romani e italiani. Una società può dirsi una civiltà se non si limita a fondarsi sul contratto sociale e la reciproca convenienza, ma se sa riconoscere i motivi spirituali, storici e comunitari della sua coesione e sa essere all'altezza delle sue origini.

Con Roma capitale l'Italia riscoprì d'essere non solo una nazione ma una civiltà.









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