venerdì 3 settembre 2010

RIFLESSIONE: Il voto è la forza della democrazia

I due articoli firmati da Piero Ostellino sul Corriere della Sera il 18 e il 23 agosto in difesa della sovranità popolare, che non può essere aggirata o addirittura capovolta dagli eletti dal popolo – “che ne hanno solo l’esercizio” –, non solo confermano in modo lucido la tesi espressa dal premier Silvio Berlusconi, secondo il quale, se cambia la maggioranza scelta dagli elettori nel 2008, la parola deve tornare al popolo, ma obbligano l’intera classe politica, inclusi i suoi vertici istituzionali, a prendere atto che il compromesso – o pasticcio – che portò alla Costituzione del 1947 ha ormai manifestato tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni per cui è necessario intervenire e fissare le regole di una vera democrazia liberale.

La discussione tra “Costituzione formale” e “Costituzione materiale” è alimentata soprattutto dai giornali antiberlusconiani che, nella difesa del formalismo costituzionale, cercano semplicemente di “tirare per la giacca”, e dalla loro parte, il presidente Napolitano. Ma è una discussione oziosa. Infatti la Costituzione è un documento politico, che fotografa il rapporto tra le forze che la formulano e l’approvano. Come tale: o si adegua all’evoluzione politica (detta materiale o sostanziale) o si strappa. Non è mai accaduto che una Costituzione formale sia riuscita a lungo a imbrigliare questa evoluzione.

In Inghilterra non esiste una Costituzione scritta, ma una serie di leggi che, di volta in volta, hanno adeguato il sistema politico (formale) alla realtà sostanziale. Negli Stati Uniti, la Costituzione è periodicamente integrata da “emendamenti” che hanno lo scopo di tenere il più vicino possibile le istituzioni alla volontà popolare.

La Costituzione italiana del 1947 era fondata sul potere dei partiti organizzati in un modo che non esiste più da quasi diciotto anni. Il sistema politico è cambiato ed è mutata la legge elettorale. Le elezioni del 2008 si sono svolte all’insegna del bipolarismo e dell’alternanza, e hanno dato un risultato chiaro. Ha vinto una coalizione di forze che – prima del voto – aveva concordato un programma e aveva indicato chi avrebbe assunto il compito di realizzarlo come capo del Governo. Con tanto di nome scritto sulla scheda. Gli elettori hanno scelto una specifica maggioranza, sapendo chi, con il loro voto, avrebbero mandato a Palazzo Chigi e con il sostegno di quali forze politiche.

Il fatto che queste innovazioni siano state introdotte con legge ordinaria e non costituzionale non ne indebolisce il significato e i riflessi sul sistema istituzionale poiché è la stessa Costituzione a demandare alla legge ordinaria la definizione del sistema e della legge elettorale.

La sovranità si manifesta con atti di volontà, e un tale atto può anche essere la delega. Per questo è vero che la sovranità popolare è rispettata anche quando ai parlamentari eletti è concesso di fare o disfare i governi dando loro la fiducia o togliendogliela, come nella Prima Repubblica. Ma la legge elettorale, specificando il concetto di sovranità popolare, ha introdotto la manifestazione diretta volontà (già presente nell’istituto referendario) in ordine alla designazione, da parte degli elettori, della maggioranza e del premier che deve guidare il governo che ne è emanazione. Degli effetti della legge elettorale tutti devono tenere conto.

Non è possibile fermarsi al principio della “sovranità popolare” e invocare quello dei parlamentari eletti “senza vincolo di mandato” poiché, fingendo di salvare il parlamentarismo, si giustifica l’assemblearismo, ovvero il potere assoluto “elitario, oligarchico, trasformista e autoritario” (Ostellino) dei rappresentanti che escludono il popolo.

Per respingere questa interpretazione, fondata su una lettura rigida della “lettera” della Costituzione, che per di più non tiene conto della legge elettorale, basta riflettere sul fatto che i candidati parlamentari entrano in lista – e per questo adempiono alcuni atti formali – sapendo in anticipo di far parte di una precisa proposta politica. Con la legge elettorale in vigore, i candidati non solo chiedono la legittimazione democratica, ma si impegnano a svolgere una specifica politica, quella del partito o della coalizione sotto le cui bandiere si presentano.

Per questo motivo Silvio Berlusconi, proponendo una verifica della maggioranza su un nucleo programmatico essenziale di cinque punti, afferma che solo gli elettori possono cambiare la maggioranza che hanno espresso mentre sarebbe uno stravolgimento della sovranità/volontà popolare qualsiasi tentativo di proporre un governo fondato su una maggioranza parlamentare diversa da quella espressa, e quindi voluta, dagli elettori.

PdL

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