sabato 9 ottobre 2010

LA RIFLESSIONE: leggi elettorali a confronto

Ma è proprio vero che i sistemi elettorali stranieri sono migliori di quello attualmente vigente in Italia? E questo sistema è poi così diverso dai modelli che da varie parti vengono evocati e proposti?


Per risponde a queste domande, bisogna partire da un punto fermo e chiaro: si vota, in ogni parte del mondo, per dare un Governo al Paese, non per il gusto di eleggere una schiera più o meno nutrita di parlamentari. Perciò una legge elettorale è tanto più rispondente alle sue finalità quanto più consente di ottenere facilmente questo risultato.

La strada più semplice è quella di fare eleggere direttamente il Capo dell’Esecutivo: è il caso dei sistemi presidenziali, come quello americano e, sostanzialmente, francese. Che però hanno un contrappeso nel Parlamento, che può risultare appannaggio della parte che non ha eletto il presidente. Si arriva allora a una forma di coabitazione.

Nel caso degli Stati Uniti, il presidente deve contrattare ogni legge con il Congresso; nel caso della Francia, il presidente deve coesistere con un primo ministro dell’opposizione. È già successo più volte in entrambi i Paesi e il sistema ha tenuto perché, in ogni caso, ha recepito e registrato la volontà popolare, che ovviamente, nel tempo e nelle circostanze, può mutare.


Diversa e un po’ più complicata è la strada dei sistemi parlamentari nei quali il Governo deve avere la fiducia del Parlamento. Appartengono a questo gruppo il Regno Unito, la Germania, la Spagna, il Giappone e l’Italia. In questo caso la legge elettorale svolge un ruolo decisivo.

Nel Regno Unito, il sistema maggioritario uninominale secco consente di eleggere un deputato in ogni collegio: tutti i voti del candidato o dei candidati sconfitti vengono perduti. Normalmente un singolo partito ottiene la maggioranza assoluta: non è accaduto nelle ultime elezioni e così è nato un governo di coalizione tra due partiti che hanno siglato un patto di legislatura, impegnandosi a realizzare un programma contrattato e condiviso. Spetta al Primo ministro decidere quando tenere le elezioni, entro il limite massimo di cinque anni. Di fatto, non è tanto il Parlamento a dare e mantenere la fiducia quanto il partito cui appartiene il Premier. Per cui il sistema britannico è parlamentare ma a “partito dominante”.

In Germania il sistema elettorale è proporzionale con sbarramento del 5%. A lungo dominato da due maggiori partiti con un terzo (i liberali) che si spostava ora da una parte e ora dall’altra, da diverso tempo il panorama politico tedesco si è fissato su cinque partiti (due maggiori e tre medi). La stabilità è garantita, ove un partito non abbia la maggioranza assoluta o l’alleanza di governo non sia solida, dal meccanismo del “voto di sfiducia costruttivo”. Perché un governo possa essere rovesciato, occorre che sia stata formata prima una nuova maggioranza.

In Spagna il sistema è proporzionale, ma l’alto numero dei collegi – conseguentemente piccoli e con pochi seggi in palio – lo trasforma in un sistema quasi maggioritario in ogni singolo collegio per cui a beneficiarne, in sede nazionale, sono i due partiti maggiori (ciascuno dei quali intorno al 40%), mentre in sede locale ottengono seggi i partiti fortemente radicati in un territorio limitato.


In Giappone il sistema, da maggioritario, di cui beneficiava largamente il dominante Partito liberaldemocratico anche a causa del modo in cui erano disegnati i collegi elettorali, si è trasformato in misto: parte maggioritario e parte proporzionale. Con la conseguenza che la durata dei governi di coalizione si è ridotta. Ma a decidere, come nel Regno Unito, sono i partiti, che decidono il premier o lo costringono alle dimissioni.

Il sistema elettorale italiano consente la formazione di una maggioranza parlamentare certa alla Camera, grazie al premio di maggioranza alla coalizione vincente, ma non elimina il rischio al Senato per il diverso radicamento dei partiti sul territorio in quanto il premio di maggioranza viene attribuito su base regionale. È questo un aspetto che dipende dal fatto che la riforma del sistema elettorale non è stata accompagnata da una riforma del sistema istituzionale. Il risultato dipende quindi dalla credibilità delle coalizioni contrapposte. La vittoria di Prodi nel 2006, alla testa di una coalizione arcobaleno, era indebolita da questa realtà, non dal sistema elettorale. La vittoria del centrodestra nel 2008 ha invece dimostrato che questo sistema elettorale può adempiere pienamente al suo obiettivo: dare al Paese un Governo stabile.

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